The Walking Dead 7x12, "Say Yes": la recensione

Ecco la nostra recensione del dodicesimo episodio della settima stagione di The Walking Dead, intitolato "Say Yes"

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Spoiler Alert
“20, mi tengo il gatto, vi procuriamo le armi e combattiamo insieme. Dì di sì”. Queste sono le parole decisive di Rick dopo un’accesa diatriba con Jadis, la bizzarra leader del gruppo anomalo della discarica conosciuta due episodi fa. E come ricorderete i due capi gruppo avevano fatto un accordo, armi e cibo in cambio di collaborazione. Al dodicesimo episodio tutto è ancora in ballo e dopo i drammi della season premiere, The Walking Dead si sta ancora prendendo del tempo. In fin dei conti i protagonisti solo da poche settimane hanno deciso di rialzarsi per contrattaccare i Salvatori. Ma prima di arrivare al momento in cui Rick e Michonne riescono a portare una carriola intera di armi (più di sessanta) al gruppo di Jadis, devono prima trascorrere una quarantina di minuti.

“Say Yes”, questo il titolo dell’episodio, è un nuovo capitolo di The Walking Dead semi-riuscito, e ancora una volta i limiti più grandi dello show sono il ritmo e quella concatenazione di cose che continuano a ritornare inevitabilmente, senza troppa originalità e con ridondanza. Oramai gli episodi sono sprovvisti di colpi di scena e neanche più gli erranti che compaiono di colpo intimoriscono lo spettatore. E il vizio della serie è sempre quello di arrivare al mid-season finale o al season finale con un episodio catastrofico dal budget più elevato rispetto alla media. Questo senso di ripetitività sta cominciando a farsi sempre più pressante perché mancano quelle idee di regia inedite che possano in qualche modo stupire lo spettatore. Ormai chi guarda anticipa addirittura i movimenti di macchina e questo purtroppo sta cominciando a diventare un problema. Detto questo, l’episodio non è affatto da cestinare, anzi. La trama orizzontale è la stessa per tutti i personaggi che compongono l’episodio, trovare le armi e organizzarsi per la guerra. Tara ragiona su una cosa che ormai la sta affliggendo già da un po’, ossia rivelare o non rivelare al resto del gruppo l’esistenza del popolo chiamato “Oceanside”, che avevamo conosciuto durante la prima parte della stagione. Questo trambusto che sovrasta i pensieri di Tara ha il suo culmine durante una scena piuttosto coinvolgente: per comprendere al meglio ciò che le sta passando per la testa, gli autori scelgono di far parlare la ragazza con Judith, l’unico personaggio non in grado di rispondere e comprendere il suo dilemma. Si tratta a tutti gli effetti di un espediente di sceneggiatura esplicito, ma al tempo stesso efficiente. L’episodio si conclude con Tara decisa a dire la verità a Rick, spronata in modo particolare dall’affare ancora aperto con il gruppo di Jadis.

Rosita nel frattempo continua imperterrita a gestire la sua rabbia nel modo sbagliato. È interessante il momento che la ragazza condivide con Padre Gabriel, specialmente perché quest’ultimo, episodio dopo episodio, assume un’autenticità sempre più adeguata al tipo di personaggio. Rosita invece non demorde, va alla ricerca delle armi per conto suo ma l’unica cosa che trova è una pistola giocattolo e un errante ai limiti del trash. Ancora una volta la vediamo commettere dei passi allarmanti, impulsivi e a tratti fastidiosi. E così come vale per Rosita, anche Sasha si relaziona ormai alla vita e alle cose con imprudenza e con quel forte senso di irresolutezza. Ed è proprio su questo fronte che arriva il punto più alto dell’episodio, ossia nel momento in cui alla fine dei quaranta minuti ci si rende conto che la sinossi ufficiale di “Say Yes” non ha solo a che vedere con i personaggi che vanno alla ricerca delle armi bensì tratta di come i personaggi, dopo tutti i drammi, guardano al futuro. Tara prende una decisione in funzione al suo modo di essere, stesso dicasi per le ribelli Rosita e Sasha. Rick e Michonne invece arrivano a formulare una serie di pensieri sicuramente molto ragionevoli, e spinti dall’amore reciproco che entrambi provano l’uno per l’altra riflettono guardando avanti con quella lucidità maturatasi nel tempo. Le scene con loro due sono state decisamente ben architettate. Ma più che le scene in cui combattono, sicuramente molto divertenti e portatrici di quel ritmo che mancava, le parti che più ci hanno coinvolto sono quelle in cui si è vista l’umanità di entrambi e dove si è intravisto quel barlume di serenità ritrovata che forse per qualche istante li ha fatto ricordare cosa significasse un tempo coltivare i rapporti umani. Inevitabilmente se due personaggi funzionano insieme, vorrà dire che anche i momenti in cui combattono gli erranti diventano stimolanti da guardare e non mirati al solo momento splatter, ormai diventato, per forza di cose, ripetitivo. Durante le scene al Luna Park in cui combattono contro gli erranti, c’è un attimo magico in cui vediamo solo l’ombra di Michonne e la sua katana muoversi all’unisono – ed è proprio in quel momento che si intravede finalmente una bella idea di messa in scena. Per concludere Rick, nonostante abbia smesso di dormire la notte, sceglie di godersi una sorta di tempo sospeso con la sua amata, una mini vacanza vissuta in un mondo che inevitabilmente può dissolversi da un momento all’altro. C’è stato addirittura un istante in cui Rick sembrava stesse lasciando a Michonne le redini del gruppo, quasi sapesse di avere i giorni contati. Possibile che questo sia il primo segnale che ci informa che qualcosa cambierà, o forse no.

Per confrontarvi con altri appassionati della serie, vi segnaliamo la pagina Facebook The Walking Dead Italia.

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