The Walking Dead 5x14 "Spend": la recensione

Ottimo episodio per The Walking Dead, che conferma il suo momento positivo

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La sosta ad Alexandria non è soltanto un'occasionale boccata d'ossigeno nella storia più grande di The Walking Dead. La speranza, abbastanza lieve, data la struttura per archi narrativi dello show, è che possa rappresentare un nuovo inizio, un nuovo modo di raccontare la vicenda, un nuovo approccio al fumetto originale. La parola chiave, si è capito, è "nuovo", perché del vecchio, arrivati alla fine della quinta stagione, se ne era avuto in abbondanza e oltre i ragionevoli limiti di sfruttamento del materiale. Dall'incontro con Aaron avvenuto nel promettente The Distance la serie ha mantenuto un livello qualitativo decisamente superiore alla media, culminato questa settimana con Spend in un episodio – ed è una grande soddisfazione poterlo dire – davvero ottimo.

All'ombra delle mura di Alexandria, che continuano a proteggere gli abitanti dalle minacce provenienti dall'esterno, crescono paure e pericoli dall'una come dall'altra parte della barricata. Seguiamo quindi gli esiti angoscianti e sconfortanti di una spedizione del gruppo di Aiden alla quale si aggregano anche Glenn, Noah, Eugene e Tara, mentre in città cresce la diffidenza reciproca tra il gruppo di Rick e quello degli autoctoni. In tutto questo avrà una spinta fondamentale il personaggio di padre Gabriel, che non esiterà a seminare discordia e sospetti, forse per eliminare gli unici testimoni indiretti delle sue colpe.

La mano sicura alla regia è quella di Jennifer Lynch, che bilancia con cura ora scene più tese, ora solo apparentemente più rilassate. In una serie dove la logica di azioni e reazioni non è sempre al centro, la regista figlia d'arte oppone una ricostruzione sicura, che lavora moltissimo sugli ambienti e sul senso di claustrofobia e impotenza dei protagonisti. Le soluzioni sono creative e i risvolti, per almeno uno dei coprotagonisti, saranno brutalmente letali. C'è il momento del riscatto per alcune figure finora ai margini, come Eugene, e c'è un'attenzione tutta particolare per tenere con i piedi per terra – senza slanci retorici e vuoti – le reazioni dei protagonisti. Giusto un sorriso di sfogo per Carol che istiga alla violenza Rick, una scena che fa il paio con quella della scorsa settimana in cui traumatizzava senza troppi problemi un bambino.

Cosa è cambiato nel racconto della serie nelle ultime settimane? Alla base di tutto c'è la contraddizione di una serie che, per motivi di sopravvivenza intrinseca al gruppo, ha dovuto sempre essere dinamica ma che, in questo suo perenne muoversi da un luogo all'altro, da una minaccia all'altra, risultava statica e "bloccata" in mille altri modi. Adesso, nel primo vero rifugio sicuro incontrato dall'inizio della vicenda, i personaggi si fermano e, in questo sottile scontro tra diffidenza e necessità di mettere radici, nella necessaria contrapposizione tra "noi" e "loro", si inizia a ragionare in prospettiva, a lavorare sui piccoli mutamenti e sfumature più sottili. E colpisce che siano proprio gli insospettabili quelli che maggiormente aspirano alla quiete (Daryl o Michonne), mentre altri ormai hanno difficoltà ad uscire dallo stato di "tutti contro tutti" (Rick o Carol).

È un bel momento per The Walking Dead, il migliore dall'inizio della terza stagione, con l'assalto alla prigione e ciò che ne era conseguito. Tra le altre cose il ritmo narrativo è gestito meglio, si lavora davvero in prospettiva, si costruiscono premesse da sviluppare in seguito (che sarebbe la normalità, ma non è sempre stato così), e tutto è meno episodico e scontato. Insomma, sperando che continui.

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