Che
The Walking Dead non sia in grado di raggiungere in maniera efficace le – troppe – sedici puntate stagionali l'avevamo scoperto già l'anno scorso, e anche nella quarta stagione, già di suo parecchio inferiore alla precedente, il discorso non cambia. Chiamiamolo, anche a sproposito, filler, riempitivo, episodio ad hoc da contrapporre alla serata degli Oscar più vista degli ultimi dieci anni, ma rimane il fatto che
Still (quasi una provocazione fin dal titolo) è uno dei
peggiori episodi della storia di
The Walking Dead. Quindi vestiamo i panni ingrati dell'uomo-fumetti dei Simpson e andiamo a vedere per l'ennesima volta cosa non accade nell'episodio.
La storyline di Beth e Daryl, che saggiamente, in quanto la più debole di tutte, era stata relegata all'inizio di Inmates, viene ripresa ed estesa a tutto l'episodio in questione. Se ciò che mancava in quel piccolo segmento di dieci minuti, e che lo differenziava dagli altri tre blocchi, era un momento risolutivo e definitivo, anche in questo caso la musica non cambia. Unici due personaggi vivi in scena, Daryl e Beth si muovono per tutto l'episodio da un luogo all'altro, trovano dell'alcol, uccidono qualche zombie, si lasciano andare a qualche confessione, ritornano in strada senza che nulla sia cambiano, né in concreto né dal punto di vista della caratterizzazione dei personaggi. E davvero non c'è altro da raccontare o ricordare in questi quaranta minuti che pesano come macigni sullo spettatore.
Introspezione psicologica e sviluppo dei personaggi sono le parole che ricorrono come giustificazione, più spesso in queste occasioni. Premesso che l'azione e lo sviluppo dei personaggi, nonostante l'equivoco comune e nonostante la rigida contrapposizione che lo show si ostina a riproporre, non si dovrebbero escludere a vicenda, non è la quota zombie settimanale a fare la serie. Il problema fondamentale non è la presenza di puntate più statiche dedicate alo sviluppo dei caratteri, anzi ben vengano quelle. Il problema è che, alla fine dei conti, questo tanto atteso sviluppo, questa introspezione psicologica, sono portate avanti in modo inadeguato e superficiale. Qui si parla di traumi venduti un tanto al chilo, di momenti topici visti e rivisti come il gioco del "non ho mai", di improbabili simbologie (la casa che viene incomprensibilmente bruciata) che non hanno alcun senso nella trama (un po' come Michonne che si aggirava tranquillamente tra gli zombie qualche settimana fa). E soprattutto, su ogni cosa, "ancora" una volta, la sensazione che l'unico obiettivo degli autori sia quello di raschiare via altri quaranta minuti dalla quota stagionale.