The Walking Dead 4x10 "Inmates": la recensione

Episodio anonimo per The Walking Dead, nel quale reincontriamo gli altri superstiti

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Brandelli di carne e narrazione, nell'episodio prevedibilmente gemello di After, per raccontare l'esito della fuga dalla prigione di tutti gli altri co-protagonisti. Se la scorsa settimana l'accorpamento delle storie di Rick, Carl e Michonne era necessario in funzione dell'incontro finale, questa settimana il montaggio di Inmates non può far altro che creare dei collegamenti ideali tra i protagonisti dei quattro segmenti distinti che lo compongono, venendo a mancare quelli narrativi. The Walking Dead rimane la corazzata degli ascolti che si sposta in avanti senza far troppo rumore, muovendosi adagio, non sia mai che qualcosa rovini il precario equilibrio sul quale poggia questa sottile alchimia tra stasi e consenso popolare. Inmates lo conferma: non innova, non sorprende, ma nemmeno affonda nella mediocrità, costruendo un episodio semplicemente anonimo.

La rigida separazione tra le storyline, quattro in tutto, che compongono l'episodio, trova riscontro in una narrazione che, in maniera opposta alla scorsa settimana, non incrocia le vicende dei protagonisti, ma le condensa in quattro rigidi blocchi. Risultato sono quattro miniepisodi, frutto della collaborazione di due sceneggiatori, Matthew Negrete e Channing Powell, che già avevano lavorato, separatamente, in questa stagione sulla scrittura di Indifference e Internment.

Beth e Daryl. Rigidamente in quest'ordine, perché è la figlia minore di Herschel a guidare la narrazione in questo segmento, forse il peggiore dell'episodio. La mancanza di coerenza interna nelle psicologie dei personaggi di The Walking Dead, spesso subordinate alla necessità degli avvenimenti piuttosto che il contrario, rimane una delle zavorre dello show, e anche in questo caso si conferma tale. Beth e Daryl, unico dei quattro gruppi dell'episodio ad essere privato anche di un pur minimo momento risolutivo o definitivo, si trascinano tra i boschi, senza una meta precisa, guidati essenzialmente dall'ottimismo – alquanto forzato – della prima, contro il mutismo del secondo.

Tyreese, Lizzie e Mika vagano tra i boschi. Chad Coleman si conferma interprete inadeguato per il proprio personaggio, ma forse è la scrittura a penalizzarlo, difficile dirlo, mentre nelle azioni di Lizzie, che tappa la bocca senza troppi complimenti ad una rediviva Judith, riecheggia l'asprezza dell'headshot di cui era stata artefice nel midseason finale. Difficile distinguere tra volontà e occasionalità con un personaggio simile, che ci giunge esasperato e fuori di testa, ma che forse vorrebbe essere dipinto come forte. Judith intanto, ancora viva. Non si tratta di una completa sorpresa, e la stessa regia di Tricia Brook pare confermarcelo, rifiutandosi di sottolineare la scoperta, a differenza di altri momenti della puntata. Che fuggendo dalla prigione Tyreese tenesse tra le mani qualcosa, forse un fagottino, erano in molti ad averlo notato, ma ciò che rimane è soprattutto la conferma di una scrittura statica, che in un contesto narrativo che non brilla esattamente per novità, si priva anche dei più piccoli schiaffi al senso di ciò che andrebbe o no mostrato o raccontato.

I neonati non si toccano, e va bene, e va bene anche accettare come la sofferenza di Rick sia stata forse eccessiva, ma, a posteriori, ciò a cui abbiamo assistito finora, nella quarta stagione, è stata una  sequenza di avvenimenti o poco incisivi o troppo già visti. The Walking Dead è in una modalità di restart continuo, che procede per accumulazione di situazioni troppo simili (il posto sicuro destinato a crollare, il nemico che ritorna solo per rimescolare le carte e far ripartire il loop ancora una volta). E in tutto questo emerge anche un nuovo particolare: la difficoltà per la serie di privarsi dei propri caratteri. Tolto il sacrificabile Herschel, non certo uno dei beniamini dei fan, l'attacco alla prigione non ha pagato, dal punto di vista della sceneggiatura, il prezzo per un restart simile. Va bene far ripartire tutto ancora una volta, ma qualcosa dovrà pur cambiare. In parole povere, qualcuno dovrà morire per dare un senso al tutto, per eliminare questa fastidiosa sensazione di déjà-vu, per pagare il prezzo di una nuova separazione destinata a ripercorrere tutti i passi che abbiamo già visto così tante volte nella serie.

Torna anche Carol, ed è un ritorno troppo improvviso e artificioso, troppo calcolato e meccanico per non essere sgradevole, per quanto il personaggio di Melissa McBride rimanga uno di quelli scritti meglio nello show. Gli ultimi due segmenti, infine, sono occupati da Glenn e Maggie, e dal loro tentativo di riavvicinarsi. Anche in questo caso non mancano alcune forzature narrative, ma niente di troppo eclatante, anzi probabilmente l'idea per lo stacco tra le due parti rimane il miglior momento dell'episodio. La puntata si conclude con un incontro inaspettato, base per il proseguimento della storia. Vedremo.

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