The Walking Dead 4x05 "Internment": la recensione

Miglior puntata della stagione e tra le più intense in assoluto

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C'è qualcosa di quasi indefinibile nell'ultima puntata di The Walking Dead, qualcosa che va oltre la solita sciagurata scrittura, le psicologie abbozzate, i dialoghi e le azioni improbabili, e che lavora quasi di nascosto, emergendo tra tutte queste pieghe per costruire uno degli episodi più intensi di sempre, senza dubbio il migliore di quest'anno. Internment lavora per accumulazione di tensioni, muove da una situazione iniziale di degrado e pericolo come la quarantena cui è sottoposta parte della prigione, e vede crescere a poco a poco, ma costantemente, il proprio ritmo. Così, tra un dialogo più o meno verosimile e scelte di scrittura non totalmente comprensibili, ciò che risalta veramente e in maniera riuscita è il clima di pericolo e potenziale distruzione cui sono sottoposti i sopravvissuti.

Il clima di relativa quotidianità delle scorse settimane viene completamente abbandonato e spazzato via dall'esigenza del momento, in uno svolgimento della puntata che quasi coincide, ad eccezione della prima parte d'episodio, con il tempo della storia. I malati muoiono e si rialzano, gli zombie premono sul recinto e ormai sfondano le deboli barricate, più di uno dei co-protagonisti sembra effettivamente sul punto di morire (Hershel, Glenn), mentre di Daryl e gli altri non c'è alcuna traccia. Due minacce: una concreta e ovvia, gli zombie, una più sottile e sfuggente, la malattia e il generale clima di sfiducia, che si combinano insieme in modo efficace, l'una facendo risaltare l'altra.

Spicca ovviamente nella catastrofe il personaggio di Hershel, probabilmente, dopo Carol, quello che ha subito la più netta evoluzione rispetto al suo ingresso nello show: carica sull'unica gamba che gli è rimasta il peso del gruppo, incarna la saggezza e la pazienza, e a questo ruolo tiene fede in maniera decisamente più riuscita rispetto al personaggio di Dale Horvath. A proposito della scomparsa di Carol, della sua sorte chiedono due personaggi: come reagirà Daryl lo scopriremo la prossima settimana, intanto Maggie si è schierata apertamente, quasi in maniera scontata, con Rick.

Quindi il tipico buonismo della serie: quello che porta Rick e Hershel a cercare di proteggere i bambini, che puntualmente si dimostrano più svegli, scattanti e pronti ad adeguarsi al nuovo mondo rispetto agli adulti e soprattutto quello che ci porta a veder intervallate le ottime scene d'azione e di tensione dell'episodio con circa una decina (davvero troppi) di dialoghi a due sul senso della sopravvivenza, sull'atteggiamento da tenere, sulla necessità di resistere. Il divario tra la concretezza di questo contesto spaventoso e l'astrattezza delle parole spese a commentarlo è da sempre uno dei tarli della serie. Vale la pena, visti i risultati, sottolineare poi ancora una volta la follia nel decidere di non mantenere pulito il perimetro intorno alla prigione e decidersi ad usare i mitra spianati soltanto quando si è ad un passo dalla catastrofe.

Ma allora cos'è questo qualcosa di indefinibile che rende buono questo episodio? Oltre ai pregi sottolineati, Internment funziona nel restituirci un clima di disperazione e assenza di qualunque possibilità di salvezza come non si era quasi mai visto. Se dovessimo fare un parallelo, anche in base alla particolare situazione di malattia e pericolo di contagio, sarebbe con il romanzo Cecità di Saramago. Sappiamo bene che non c'è alcuna speranza per il genere umano, ma spesso questo clima di disperazione passa in secondo piano: questa puntata ha invece il grande merito di riuscire a coinvolgerci e a renderci consapevoli come mai finora della terribile situazione in atto.

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