The Walking Dead 4x03 "Isolation": la recensione

Molti difetti, ma finora il miglior episodio della stagione

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Dopo l'infezione, arriva l'isolamento. Se la componente action che ha dominato la terza stagione appare oggi definitivamente tramontata a favore di un ritorno a quella drama che avevamo già visto protagonista in passato, ciò ha anche significato, in termini qualitativi, una opprimente sensazione di déjà vu che ci ha ricondotti alla seconda, terribile annata di The Walking Dead. "Raccontare l'apocalisse zombie attraverso le reazioni umane di persone qualunque", questo è il mantra. E continuiamolo a ripetere, mentre, già nell'introduzione, per aumentare la tensione non si trova modo migliore che scatenare una rissa immotivata e mentre durante l'episodio c'è chi rischia la propria vita senza motivo. Ma la cosa sorprendente è un'altra: nonostante tutto, Isolation, terzo episodio dell'anno di The Walking Dead, è il migliore di questa nuova stagione.

Lo zoccolo duro dei protagonisti della serie si spacca in due di fronte all'emergenza epidemica scoppiata la scorsa settimana. Dopo averne controllato gli effetti nell'immediato, ora si contano i danni e i nuovi infetti che a poco a poco si accumulano. Mentre Daryl, Michonne, Tyreese e Bob si recano ad una facoltà di veterinaria per trovare degli antibiotici, il resto del gruppo vigila e organizza la quarantena. La prigione sta cadendo a pezzi. A testimoniarlo non soltanto il sacrificio degli animali, la fine dell'acqua, la debolezza del perimetro, la stessa aria infetta e le cause di morte che paiono moltiplicarsi di giorno in giorno (il discorso che Hershel fa a Rick e Maggie funziona ed è condivisibile, fino ad un certo punto), ma anche una generale condizione di insofferenza, quella incarnata dai due protagonisti dell'episodio: Tyreese e Carol.

La perdita delle risorse basilari su cui si reggeva quella relativa quiete e quotidianità che avevamo riscontrato all'inizio della premiere ha lasciato il passo al ritorno furioso di quelle reazioni estreme, tipiche di uno "stato di natura" che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Rick cerca di convincere Tyreese che l'omicidio non è contemplato nella prigione, e che troverà il colpevole, ma sarà davvero così? La costruzione del personaggio interpretato da Chad Coleman è altalenante (per non dire schizofrenica). Il litigio furioso con Rick nella cold open non ha alcun senso, non fa piacere il ritorno dei famigerati confronti – tipici anche questi della seconda stagione – da concludersi necessariamente con uno dei due protagonisti che si allontana arrabbiato, così come il veder condensati, in circa due minuti, l'idea di lasciarsi morire, il sacrificio per gli altri e il miracoloso salvataggio in extremis. Un po' troppo per un solo episodio.

Funziona meglio lo sfruttamento del personaggio di Carol. Quando The Walking Dead ritiene di far parlare i volti dei propri personaggi, piuttosto che perdersi in blandi momenti di dialogo, riesce davvero bene a trasmettere le proprie tensioni, quelle "reazioni umane" di cui si parlava all'inizio. E quella di Carol, per quanto forse spiazzante nell'immediato postfinale, sembra coerente con quella di una persona che ha perso tutta la propria famiglia in un modo orribile, che si è dovuta reinventare, che mitiga la paura della perdita donando tutta se stessa agli altri, che ha al tempo stesso il terrore ma anche l'esigenza di tornare a voler bene a qualcuno. In quest'ottica, tanto la "scena dell'acqua", quanto quella che la vede mettersi stupidamente in pericolo, quanto quella legata alla rivelazione finale, sembrano più sensate.

Lo è di meno quella di Hershel. Da un lato il discorso che fa a Rick e Maggie, come dicevamo, è sensato, ma dall'altro bisognerebbe anche avere un po' di buon senso e capire che non va bene, in un mondo in cui le competenze mediche valgono così tanto, mettersi in pericolo, prima offrendosi di andare in spedizione, poi entrando nella zona di quarantena per dare comunque un aiuto minimo.

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