The Walking Dead 4x01 "30 Days Without an Accident": la recensione

Ritorna The Walking Dead, e ritornano anche alcuni difetti del passato della serie

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Quando si pensa ai difetti più evidenti delle prime due stagioni di The Walking Dead, questi vengono spesso fatti risalire, in maniera forse un po' troppo riduttiva, alla semplice "mancanza di zombie" (o walkers, come vengono chiamati nella serie e come nessuno spettatore si è mai sognato di definirli). Più corretto sarebbe affermare che il grande problema, questo invece mai completamente risolto dal survival horror della AMC, nemmeno nella scorsa stagione, fosse la mancanza di altri elementi di valore che si sostituissero alla penuria di morti viventi. Personaggi abbandonati a loro stessi, caratterizzazioni superficiali e dialoghi non proprio esaltanti hanno accompagnato i primi due anni di trasmissione fino all'inaspettata, ma molto gradita, ripresa dello scorso anno. Una risalita che tuttavia non è andata a colpire alla radice il problema originale, ma ne ha semplicemente coperto le tracce attraverso un aumento esponenziale della violenza e della "quota zombie per puntata". Ora che la guerra con il Governatore è stata archiviata, si riparte con la quarta stagione, e i vecchi dubbi tornano in superficie come la pistola dissotterrata da Rick nella cold open.

30 days without an accident, un episodio con un titolo che è già presentazione di quel periodo di stasi e relativa routine nel quale è immersa la prigione di Woodbury. Nuovi rituali si sostituiscono a quelli consueti, ma la normale vita sociale ha pur sempre bisogno di essere scandita da momenti ripetuti, che diano anche solo l'illusione della serenità. Questo, e l'esigenza della serie di ripartire da un punto fermo e di mostrarci i cambiamenti all'indomani dell'ingrossamento delle fila dei superstiti, ci porta ad una prima metà di episodio calma, rilassata, in cui la stessa uccisione degli zombie che cingono il rifugio viene mostrata come parte della quotidianità. Dall'anarchia delle prime due stagioni alla dittatura di Rick della terza, quello che viene presentato è un gruppo alla pari, nel quale tanto i pilastri storici (Rick, Daryl e Glenn) quanto le new entry (Tyreese e Bob) collaborano per mantenere l'ordine. Svetta con la sola presenza e poche battute assestate Michonne, vera forza attiva di un gruppo femminile che per il resto brilla della luce riflessa dalle relazioni di coppia (Maggie con Glenn e Carol con Daryl) oppure non brilla affatto (Beth) confermando la debolezza nella scrittura che da sempre in particolare caratterizza le donne della serie (Lori e Andrea).

Deciso cambio di tono in una seconda parte che sviluppa in parallelo la ricerca di rifornimenti da parte del gruppo principale alternata al vagare di Rick nel bosco insieme ad una donna che invoca il suo aiuto. Funziona un bel dialogo tra Daryl e Zach, "red shirt" designato della puntata, in cui il ragazzo prova ad indovinare il mestiere dell'uomo prima dell'apocalisse (in Salvate il Soldato Ryan c'era la stessa idea). Ciò che invece latita, in presenza dell'azione, è la tensione che dovrebbe precederla. Una forzata trovata di scrittura che ha a che fare con una bottiglia rimessa a posto malamente e una pioggia di zombie regala infine cinque minuti più vicini al semplice action che all'horror. La prevedibile chiusura della vicenda di Rick riporta tutti i pezzi al loro posto originale, senza che sostanzialmente nulla si sia mosso rispetto all'inizio e completando così quello che è un semplice episodio di transizione verso i nuovi equilibri del gruppo.

Greg Nicotero riprende in mano la regia dopo la gestione dell'addio di Merle in This Sorrowful Life e puntella l'episodio di una serie di indizi visivi (carcasse di animali, occhi iniettati di sangue) che paiono rivelarsi nell'immancabile cliffhanger che chiude la puntata. E la stessa idea di una pioggia di zombie che arriva dal soffitto non è affatto da sottovalutare quanto a potenziale inespresso. Ciò che veramente manca a The Walking Dead non è la semplice "quota zombie" (anche perché in questa premiere abbondano), ma una scrittura che sappia valorizzare le tensioni che i mostri scatenano, e che per farlo non si appoggi a frasi o scene madri (come Rick che pone le "3 domande" o Beth che sostiene di non piangere più), ma che riesca ad essere più sottile, magari mostrando più fiducia verso lo spettatore.

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