The Walking Dead 3x15, This Sorrowful Life (L'Inganno): la recensione

L'episodio girato da Greg Nicotero può tranquillamente essere classificato come "il migliore della serie"

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Il miglior episodio di The Walking Dead.

Non di questa terza stagione, ma di tutti quelli trasmessi finora in attesa del finale.
Un'affermazione forte, me ne rendo conto, specie in virtù dell'ironia più o meno marcata che ho usato diverse volte nel corso dei commenti a questa third season dello show targato AMC, colpevole di un paio di cali di attenzione di troppo, tutti concentrati all'inizio del secondo blocco.
Greg Nicotero alla regia, con la complicità dello script di Scott M. Gimple (autore di alcune delle puntate più riuscite della seconda e della terza stagione), confeziona un episodio che, inizialmente, pare tutto giocato sulla sfida - di coscienza, di morale - che Rick e Merle stanno combattendo tanto fra loro due quanto con il loro stesso spirito.

Non dimentichiamo che eravamo tutti rimasti sospesi sul baratro di uno scambio – consegnare Michonne al Governatore in cambio della pace (?) - che avrebbe visto comunque compromessa in qualche modo la leadership di un Rick dimostratosi più volte molto debole dal punto di vista psicologico.
Spiace constatare come la scelta del titolo italiano risulti essere quantomeno spoileroso. Che qualcosa d'imprevisto stia per accadere è chiaro fin dal principo. Che nelle teste di Rick e Merle i neuroni, gli assoni e le sinapsi si siano attivati seguendo un determinato percorso oscuro, ma subodorato dal pubblico è palese. Eppure battezzare “L'Inganno” questo qundicesimo appuntamento stagionale con The Walking Dead rende troppo manifesto fin dal principio dove si andrà a parare.
Detto questo, i 42 minuti della puntata, nonostante l'immancabile apparizione della defunta signora Grimes, sono un vero e proprio monumento alla statura narrativa dei due fratelli Dixon. Personaggi che, non a caso, risultano da sempre fra i più amati dai fan, anche quando, come nel caso di Merle, si tratta di una maschera non propriamente votata alla positività d'animo.

Diciamo che così come la settimana scorsa abbiamo assistito a una tortura – meritatissima – lunga ben tre quarti d'ora ai danni dell'insulsa Andrea, questa volta abbiamo la prova definitiva del fatto che sono stati Norman Reedus e l'ex “Henry Pioggia di Sangue” Michael Rooker a tenere in piedi la baracca.
Con buona pace di Andrew “Mr. Monoespressività” Lincoln.

E' davvero uno di quei casi in cui le parole vanno dosate col contagocce perché l'ultima cosa che mi passa per la testa è rovinare la festa a quelli che magari hanno in serbo nell' HDD di MySky la puntata o aspettano di vederla tramite OnDemand, però la contrapposizione fra i due fratelli – uno ormai integrato nel gruppo, l'altro percepito ancora come un pericoloso outsider cui affidare, al massimo, i lavori sporchi – viene orchestrata con notevole abilità. Per Daryl conta suo fratello, è chiaro, ma ormai si sente parte integrante di una famiglia sui generis, come possono essere quelle delle persone sopravvissute all'apocalisse zombi. Per Merle l'unica cosa importante, che ha davvero un senso è suo fratello.
Ma c'è un ma.
E lascerò a tutti coloro che ancora non hanno avuto modo di gustare This Sorrowful Life il piacere di scoprire dove risieda questa avverastiva. In una puntata che, fra gli sviluppi della storia dei Dixon Bros. e altri passaggi all'insegna della tensione più stringente, può essere tranquillamente etichettato come il miglior episodio del serial.
Un tassello che non mancherà di colpire pesante allo stomaco lo spettatore. E non parliamo di un pugno assestato con le viscere e le frattaglie degli zombi – presenti comunque in gran quantità – ma di un poderoso montante emotivo.

Un meraviglioso antipasto al gran finale.

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