The Walking Dead 3x11, I Ain't a Judas (Giuda): la recensione
Episodio interlocutorio, dopo le cadute dei precedenti, per la terza stagione di The Walking Dead...
Ovviamente, il merito non va attribuito a Rick e Andrea. Diciamolo pure ad alta voce. I due sono sempre più invischiati in una spirale d'inutilità drammatica – se non di effettiva stupidità per la seconda – e quindi gli “onori” vanno verso gli elementi di disturbo rappresentati dal Governatore e dal ritorno di Merle nella compagine dei “carcerati”.
Fermo restando che Rick non ha tutto questo spazio nell'episodio – il tutto è circoscritto a un paio di momenti in cui il frutto dei suoi lombi, Carl, sì proprio quello che fino a dieci episodi fa non si sapeva mai dove diamine fosse, e il vecchio Hershel gli consigliano, a vario titolo, di rinunciare alla “ricktocracy”, Andrea continua a donare dei momenti di rara stupidità. E' grazie a lei che l'episodio raggiunge dei picchi di nonsense da teatro dell'assurdo. Continua a non capire nulla di quello che le accade intorno, come se avesse delle fette di prosciutto spesse cinque centimetri sugli occhi.
In un certo senso, come il precedente, anche questo episodio è tendenzialmente sbilanciato, ma si lascia apprezzare per quel sottile senso di minaccia garantito dalla presenza di un villain che continua a smarcarsi in maniera sempre più chiara dai toni pulp e sopra le righe della controparte fumettistica.
L'aver ridotto al minimo gli episodio di schizofrenia di un Rick Grimes interpretato da un Andrew Lincoln letteralmente inadatto a comunicare determinati stati d'animo, misto all'istintivo e divertente odio che nasce dall'osservare il comportamento di Andrea sono, di certo, un plus. Ma è un piacere controaltare che, almeno in questa puntata, non è la chiusura dell'episodio a stimolare la curiosità verso quello che accadrà nel prossimo, ma l'effettiva costruzione drammatica di tutti i 41 minuti della sua durata.