The Walking Dead 3x10 - Home (Bentornato a casa), la recensione

Il decimo episodio della terza stagione di The Walking Dead ci conferma come, tra alti e bassi, la serie sia un po' schizofrenica...

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Schizofrenia. Sillabazione: schi | zo | fre | nì | a. Pronuncia: /skidzofre'nia/. Disturbo psichico caratterizzato da dissociazione mentale e del comportamento.

Impossibile non pensare a questa malattia durante la visione del decimo episodio di questa terza stagione di The Walking Dead. E il riferimento non va tanto alla condizione mentale di un Rick Grimes interpretato da un Andrew Lincoln sempre più patologicamente incapace di recitare la parte di colui che sta perdendo la bussola senza produrre la proverbiale “faccia da cernia”, quanto alle menti di quelli che operano nel “dietro le quinte” di questa serie.

Home, in italiano Bentornato a Casa, è un coacervo, un melange di tutto ciò che di negativo e positivo The Walking Dead ha saputo dire e fare finora.

Dopo l'episodio debole, interlocutorio della scorsa settimana in cui gli spettri dell'illogico comportamento dei personaggi e dell'inutile ciarlare dei medesimi si è riaffacciato con la stessa prepotenza di un Jack Torrance che tenta di sfondare la porta del bagno dove sua moglie Wendy si sta rifugiando, l'inizio del decimo episodio pare proseguire sulla stessa lunghezza d'onda del precedente. Nel carcere tutti cominciano a vaneggiare, a Woodbury il Governatore parla con parole melliflue da romanzo rosa Harmony (ma se non altro ha la decenza di far capire allo spettatore che sta tramando qualcosa), Andrea continua a essere utile quanto il lecca-lecca di cui parlava Patches O'Houlihan in Palle al Balzo.

Poi: un movimentato intermezzo che porterà i fratelli Dixon a mettere le cose “in chiaro” fra loro, e ritorno al carcere con Rick sempre intento ad ascoltare le voci in mezzo ai campi manco fosse Giovanna d'Arco, Glenn che si convince di essere Schwarzenegger in Commando dopo una scenata di Maggie che, nella testa dello sceneggiatore, doveva essere pregna e tragica, ma risulta essere solo abbastanza illogica (lo spirito di Lori si è forse impossessato della ragazza). E quando stai per pensare “ma perché sto ancora sveglio a guardare tutto questo” succede il finimondo. Fregato un'altra volta con la curiosità del “e adesso che accadrà?”. La domanda è stata anche lecita per il primo blocco di puntate della terza stagione, ma adesso la paura è che tutto rientri nei registri e nei toni della prima e della seconda stagione, quando gli ultimi 4 minuti di ciascuna puntata ti mettevano di fronte al ricatto psicologico del “volevi fare il gradasso eh, ma adesso che in 240 secondi t'ho fatto vedere tutta'sta roba sei sicuro che la settimana prossima salterai l'appuntamento?”.

Continuiamo a dare a The Walking Dead il beneficio del dubbio. Però è umanamente impossibile non constatare come questa serie riesca a rendere digeribili i personaggi che dovrebbero risultare più indigesti. E' accaduto con Shane e sta succedendo di nuovo con il Governatore. E quando ti trovi a “empatizzare” con quello che dovrebbe essere il villain, l'antagonista della situazione perché i protagonisti del serial sono talmente esasperanti che cominci a sperare che possano essere trucidati nei modi più bizzarri e cruenti, qualche dubbio sull'effettiva tenuta della struttura che sorregge la baracca diventa abbastanza lecita.

Confidiamo, per le prossime puntate, su due cose: la messa in discussione dell'autorità di un Rick Grimes che starebbe meglio al Cottolengo, e il ritorno dei Dixon bros. E in una costruzione drammatica più affidata ai fatti che all'esposizione strettamente drammaturgica.

Perché i vecchi problemi di The Walking Dead cominciano a riaffiorare ogni volta che i suoi personaggi cercano di fare dei discorsi che di logico hanno davvero poco...

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