The Walking Dead 4x09 "After": la recensione

Ritorna The Walking Dead, con un episodio di transizione poco convincente

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Il rapporto tra padre e figlio, la disumanizzazione, la debolezza che si cela dietro l'ostentazione dell'orgoglio, perfino il senso di colpa per essere sopravvissuti e la responsabilità di dover andare avanti, anche per chi non ce l'ha fatta, quando invece tutto ciò che si vorrebbe è lasciarsi morire. Sarebbe davvero semplice, muovendo da queste basi tematiche, scrivere più di qualcosa su After, midseason premiere di The Walking Dead. E invece no. Non perché non sarebbero temi meritevoli di attenzione, ma perché il modo in cui sono veicolati fa passare in secondo piano qualunque tentativo di approccio analitico basato su di essi. Prendersi sul serio è la sfida, ma saperlo fare è il vero obiettivo, un obiettivo che la serie della AMC non riesce a cogliere, persa com'è, anche in questo atteso ritorno, nel rimarcare, sottolineare, urlare con tutta la voce che ha in corpo i temi di cui vorrebbe parlare, e offrendo ben poco a contorno di questi.

Che After sarebbe stato un episodio di transizione era altamente prevedibile. La serie non ha mai brillato esattamente per ritmi veloci, e la tentazione di ricavarsi un'isola narrativa felice che giustifichi la durata di sedici episodi è troppo ghiotta per lasciarla andare. E la sensazione, dato che abbiamo rivisto solo tre dei protagonisti principali, è che anche la settimana prossima il discorso non sarà troppo diverso. Rick, Carl e Michonne, separati per tutto l'episodio, si ritroveranno in conclusione. Ciò che accade loro in questo frangente, tanto a livello concreto, quanto a livello più emotivo, in seguito alla caduta della prigione, è la linea lungo la quale si muove la narrazione.

Rick, che non è mai stata una figura emotivamente stabile, ora è anche provato nel fisico in seguito allo scontro con il Governatore. È il passaggio di consegne ideale al figlio Carl, che ora sa badare a se stesso, che va in perlustrazione da solo, che riesce a cavarsi d'impaccio senza aiuto, ma che in fondo rimane un ragazzino che non riesce ad uccidere il proprio padre, pur ritenendolo, ad errore, uno zombie. Con la madre tempo prima non c'era stato alcun problema, ma si sa, la coerenza nella caratterizzazione dei personaggi non è il punto forte della serie. Ma il vero problema è un altro. Carl che cammina dieci passi avanti al padre che gli dice di rallentare, Rick che non riesce a finire la frase "We're gonna be... ", Carl che entra nella camera di un ragazzino, rovistando con aria sognante nei suoi videogiochi per poi strappare vari cavi che gli serviranno per bloccare la porta.

Questo è il problema di The Walking Dead. Non lascia alcuno spazio per la riflessione, per la decifrazione di ciò che si sta guardando. Anche Michonne, che è sempre stato uno dei personaggi migliori della serie, subisce questo trattamento. Lasciando stare questioni, anche ingiuste e inutili, sul fatto che se l'esercito fosse stato armato di katana anziché di fucili forse l'apocalisse zombie si sarebbe potuta evitare, ma è una scorciatoia emotiva non da poco quella di buttare lì un flashback/sogno (per ovvi motivi non si tratta di un vero ricordo) sul passato della donna per poi rilanciare il tutto un paio di scene dopo con un monologo fuoriposto e forzato. Una scorciatoia che, in quanto tale, non ci colpisce, non ci può colpire.

Rimane un po' di rabbia. Rabbia per quello che potrebbe essere uno dei migliori show in televisione, che ne avrebbe tutte le potenzialità, e invece arranca da quattro stagioni mostrandoci in fondo persone che entrano in case, trovano zombie all'interno, cadono per terra e riescono a fuggire per il rotto della cuffia.

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