La scrittura di una serie tv è molto diversa da quella di un film. Ogni episodio di uno show è come un respiro, tanto lungo e profondo quanto la distanza che lo separa dalla puntata seguente, e non è detto, anzi non è assolutamente così, che il valore di quei singoli quaranta minuti settimanali coincida con il valore se rapportato all'intera serie. Per questo motivo
Too far gone, mid-season finale di
The Walking Dead, nonostante un carico di eventi, sconvolgimenti, colpi ben assestati all'equilibrio dello show, è un episodio fallimentare, che getta un'ombra sinistra sulle puntate precedenti che già non brillavano per efficacia.
Intanto l'episodio in sé, ottavo di questa prima parte di stagione, terzo del nuovo arco narrativo, esauritosi in sole tre puntate e incentrato sul ritorno del Governatore. La furia degli eventi si appoggia perfettamente sulla conclusione della vicenda relativa all'epidemia all'interno della prigione, chiudendo il cerchio sul flashback di Philip/Brian e facendo coincidere i due piani narrativi della serie. In concreto: Hershel e Michonne escono dopo la risoluzione della vicenda, e nello stesso momento arriva Philip. Una coincidenza non da poco, una piccola faciloneria nella sceneggiatura, ma qualcosa su cui si può passare sopra senza troppi problemi.
Ma ecco che gli eventi precipitano su loro stessi in men che non si dica, travolgendo caratteri, dinamiche di gruppo, sviluppi precedenti, asservendo tutto allo scopo finale: quello di una rapida conclusione della
mid-season. Preso a sé, come rappresentazione di uno scontro tra due fazioni per il controllo di un luogo strategico, come ulteriore presa di coscienza dell'inesistenza di un luogo sicuro, della costante minaccia dell'uomo nemico da affiancare a quella rappresentata dagli zombie,
Too far gone non sarebbe nemmeno un cattivo episodio. Molto banalmente, le svolte, la capacità di andare avanti in una serie, queste sono le caratteristiche che ci piace vedere: e con le sue recinzioni abbattute, le mura sgretolate da raffiche di fuoco, i suoi personaggi uccisi, la puntata fa indubbiamente il suo dovere di "quasi finale". Certo, ci si interroga su quanto effettivamente questi campi siano comodamente vicini l'uno all'altro, sul perché non ci fossero zombie vicini al recinto in quel momento, sul perché il carro armato non li abbia attirati fin lì, ma anche su questo si può soprassedere per godersi un po' di azione.
Ciò che non si può davvero tollerare è la gestione della narrazione in questa prima parte di stagione, davvero insensata e incomprensibile. In un mondo statico e apocalittico The Walking Dead estende questa condizione di immobilità a qualunque proprio aspetto, siano i protagonisti, condannati ad un mancato sviluppo che qualora avvenga porta al loro allontanamento (Carol) o alla loro morte (Hershel, ma perché il Governatore non ha ucciso Michonne al suo posto?), siano le situazioni, anch'esse condannate ad un eterno ripetersi di schemi. Così sono fuggiti i primi cinque episodi dell'anno, completamente racchiudibili in una parentesi inutile e inefficace se non per la morte di inutili comprimari e maialini e per l'allontanamento di Carol, così si conclude questa assurda e indecifrabile trilogia sul Governatore.
L'anno scorso, in un clima di tensione, con un
climax costruito faticosamente nell'arco di una stagione intera, il personaggio era stato risparmiato. Legittimo, anche giusto, considerando l'appeal esercitato sul pubblico e la necessità di avere una nemesi in una serie in cui di fatto, oltre alla sopravvivenza, non esiste alcun obiettivo da raggiungere. Ma allora perché riproporlo per soli tre episodi e per giunta con tre distinte caratterizzazioni che sembrano provenire da altrettante diverse serie? Un tentativo di
redenzione nella prima, la rapida acquisizione della leadership nella seconda per la protezione della propria famiglia, e in questa terza il totale disinteresse per tutto e tutti in nome di un'assurda vendetta. Piuttosto che caricare così tanti spunti appena abbozzati su un personaggio nel tentativo di renderlo complesso, sarebbe stato meglio puntare su una caratterizzazione monodimensionale, ma almeno coerente. L'avremmo odiato e avremmo gioito della sua morte, invece di assistere a questo episodio nella piena
indifferenza, assenti come il gregge di persone che lo segue in battaglia dopo un paio di giorni di conoscenza e un discorso di tre minuti. Indifendibile questa prima parte della quarta stagione, bocciato completamente il cambio di guardia tra Mazzara, l'unico showrunner ad aver sviluppato degnamente la serie finora, e
Scott Gimple, che pare navigare a vista senza un'idea sul proseguimento dello show.