The Walking Dead 3x07, "When the Dead Come Knocking (Infiltrati)": la recensione

Con l'avvicinarsi al mid-season finale della terza stagione di The Walking Dead il gioco comincia a farsi duro. Molto duro.

Condividi

Una serie che per lungo tempo non aveva fatto altro che proporre personaggi chiacchieroni, lamentosi, capaci solo ed esclusivamente di meritarsi una morte aberrante accolta da una standing ovation dal pubblico a casa – anche se la dipartita di Lori Grimes è avvenuta in uno degli episodi più intensi di tutto lo show, sareste così sicuri da affermare che una parte di voi, magari una porzione piccola piccola, non ha gioito nel vederla schiattare? – ha finalmente cominciato a padroneggiare con i meccanismi della tensione, dell'alternarsi di momenti descrittivi e altri più marcatamente votati all'azione o all'orrore.

Anche quello psicologico.

Che il serial si stesse preparando a quello che si prospetta essere una “pausa di stagione” davvero ardua da superare era chiaro fin dall'epilogo del sesto episodio, Hounded – La Preda.

Andrea pareva ormai perfettamente calata nel contesto di Woodbury – e anche sotto le coperte del Governatore, per inciso – Rick Grimes aveva ormai ripreso le redini dei “carcerati”, ma il twist finale, con Merle che, sulle tracce di Michonne, riesce a catturare, con l'abilità del predatore navigato e privo di qualsiasi scrupolo, Glenn e Maggie impegnati alla ricerca del latte in polvere era un aperitivo delle aberrazioni a venire che il personaggio di David Morrissey ha in serbo.

L'attore di Liverpool continua, con indubbia perizia, a tratteggiare un villain meno eccessivo, fumettistico nell'accezione negativa del termine, se paragonato a quello che alcuni di voi potrebbero aver conosciuto dalla lettura delle vignette di partorite da Kirkman e Adalrd. Ma non per questo meno pericoloso. Rispetto “all'esuberante” Merle di Michael Rooker può sembrare quasi rassicurante, ma in realtà ogni sua mossa è calcolata e, in un modo o nell'altro, riesce a ottenere quello che vuole (anche se tutto questo si svolgerà con una dinamica leggermente differente, ma per questo non meno truce, rispetto alla graphic novel).

In corti discorsi: i due gruppi stanno per entrare a contatto e quando due mondi collidono, uno dei due deve soccombere. La domanda che nasce in modo decisamente pressante non è tanto cosa accadrà – di certo non si scambieranno tacchini arrosto, strette di mano e amichevoli pacche sulle spalle – quanto chi resterà fedele a chi.

In ballo c'è un legame di sangue che vincola, indissolubilmente, Daryl e suo fratello Merle; una liaison di genere non meglio identificato – forse il tutto si limita alla ricerca di sicurezza da parte dell'inutile Andrea e al desiderio di voler scambiare con una certa regolarità fluidi corporei anche in tempi di apocalisse sopraggiunta – fra il Governatore e l'insulsa biondina (per evitare di sentirmi dire che “ragiono per stereotipi” rimarco il fatto che l'aggettivo e la colorazione dei capelli della suddetta non sono da ritenersi in correlazione).

Ma prima di arrivare a tutto questo bisogna passare attraverso 40 minuti in cui gli zombi sono solo uno sfondo putrefatto e maleodorante, anche se a un certo punto avremo a che fare con un momento che omaggerà uno dei topoi più classici della storia a base di non-morti, decorato dal rosso accesso del sangue e delle budella dello sfigato/sciroccato di turno. 40 minuti in cui a dilaniare i nervi dello spettatore non saranno i denti marci dei non-morti, quanto un crescendo di tensione pronto a sfociare in Made to Suffer, un ottavo episodio che si prospetta davvero carico.

E per la prima volta nella mia esperienza di spettatore prima e critico poi di The Walking Dead avverto l'impellente necessità di effettuare un salto temporale al prossimo lunedì per saziare la curiosità e lenire il tormento che scaturisce dalla brama di voler sapere...

Continua a leggere su BadTaste