The Walking Dead 3x05, "Say The Word" (Basta una parola): la recensione

Pubblichiamo la nostra recensione dell'episodio successivo allo scioccante "Killer Within"

Condividi
Anche se il titolo italiano di questo quinto episodio della terza stagione di The Walking Dead ricorda la tagline dello spot del confetto Falqui, gli effetti ottenuti da Basta una Parola sono ben distanti da quelli del celebre lassativo.

La speranza che più volte abbiamo condiviso con voi – ovvero che l'esaltante ritmo della season premiere riuscisse a tener banco per il prosieguo di questo nuovo primo blocco stagionale del serial – viene confermato di volta in volta, di puntata in puntata, di cliffhanger in cliffhanger.
Se non avessimo davanti agli occhi alcune delle stesse facce del cast viste fin dai tempi di Days Gone By in quel fatidico 31 ottobre del 2010, potremmo legittimamente pensare che si tratti di un altro telefilm.

Dopo la tortura emotiva di Dentro e Fuori in cui il gruppo di sopravvissuti all'interno del carcere è stato sottoposto ad alcuni degli accadimenti più sconvolgenti di sempre, li ritroviamo intenti a raccogliere i pezzi di ciò che rimane, brandelli di esistenze sfiancate, messe all'angolo da eventi soverchianti anche per chi pensava di averle viste tutte. C'è chi come Glenn tenta di dare un senso a quello che è accaduto affidando ai “se” e ai “darei”, a dei periodi ipotetici agghiaccianti, per il loro disincanto, cui è difficile dar torto, o c'è chi, come Daryl e Maggie, si rende conto che una persona è morta per dare alla luce una nuova vita e che questa va quindi coltivata a tutti i costi.
Poi c'è chi, come Rick, pare ormai aver del tutto perso il contatto con la realtà e reagisce entrando in modalità Berserk sterminando tutti i non morti che incontra all'interno dei corridoi del carcere.
Ma questo Basta una Parola non è solo una descrizione di come lo sceriffo e i suoi reagiscono alla perdita di Lori. T-Dog e Carol (?).

Say the World gioca, con inaspettata astuzia, con l'elemento della tensione psicologica, espediente che, in precedenza, non era mai stato adoperato con così notevole criterio.
Le sezioni della puntata ambientate a Woodbury delineano, con maggiore precisione, la serpeggiante follia del Governatore, personaggio marcatamente pulp nel fumetto e maggiormente connotato da ambiguità nello svolgimento dello show televisivo. Buona parte di quei semi piantati nelle puntate precedenti, stanno ora germinando in una pianta gradevole da vedere, ma altamente mortifera per quanto è tossica.

La costruzione, riuscita, dell'episodio sta qua, nel dualismo fra l'inspiegabile normalità di Woodsbury e la comprensibile follia di Rick, fra chi tenta di negare la fine del mondo con una cittadina retta da un ordine più marcio del più decomposto degli zombi e chi tenta di negare con la rabbia un presente che di normale non ha più nulla da un bel pezzo.

Grandi mattatori dell'episodio Michonne e Merle. La prima, corente con le sue idee e il suo modo di fare che l'hanno fatta resistere da sola per tutto questo tempo, è decisa a scavare a fondo nei torbidi segreti del Governatore, anche se viene messa in scacco da questi con una mossa machiavellica atta a conquistare definitivamente la fiducia di Andrea, Merle perché, di base, è interpretato da un attore, Michael Rooker, capace di rendere perfettamente l'indole disgostosa, animalesca e redneck fino al midollo del suo personaggio. Un individuo capace di calarsi come “un pisello nel suo baccello” in un mondo in cui fra (alcuni) esseri umani e gli zombi non si sa chi sia effettivamente la creatura più putrida.

Continua a leggere su BadTaste