The Victim: la recensione

In The Victim torna il tema della caccia al mostro online, in un thriller dal finale sorprendente

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The Victim: la recensione

Uscita due anni fa e arrivata solo adesso da noi, la miniserie The Victim ha qualcosa in comune con la recente Clickbait. In entrambi i casi c'è la caccia al mostro che viene scatenata online, il desiderio di avere vendetta per abusi commessi. Abusi presunti va detto, e proprio su questa terribile ambiguità di fondo di basa tutto il meccanismo da thriller messo in scena. Dove però Clickbait parlava della presenza in rete, dei social e della loro potenza distruttiva, The Victim si concentra di più sul desiderio di vendetta a tutti i costi. Il conflitto qui è puramente morale: esiste uno spazio di reinserimento per i criminali che hanno scontato la loro pena? Cosa succede quando la giustizia legale è scollegata dal senso di giustizia personale?

Emblematica è la prima scena della serie, in cui ci troviamo in un'aula di tribunale nella quale ci sono un uomo e una donna. Lei è Anna Dean (Kelly Macdonald) e lui è Craig Myers (James Harkness). Quattordici anni prima il figlio di Anna, Liam, di appena nove anni, è stato ucciso. Il processo al colpevole si è tenuto a porte chiuse, questo ha scontato una pena di sette anni e poi è uscito. La sua identità non è stata rivelata, per garantire il diritto di rifarsi una vita al di là dei suoi precedenti penali. Anna non è affatto soddisfatta della pena scontata dall'uomo, e cerca di capire chi in realtà sia questa persona per potersi vendicare. È convinta di averla trovata in Craig, e così lo espone al pubblico, incitando una vendetta privata che puntualmente arriva. L'indagata in questo caso è lei, non lui.

Su questa ambiguità, come detto, si regge tutto il meccanismo alla base di The Victim. Lo stesso titolo è volutamente vago. Chi è la vittima? Il bambino ucciso, la madre tradita dalla giustizia, il presunto innocente perseguitato, lo stesso colpevole a cui è negata la possibilità di rifarsi una vita? La serie scozzese ha il merito di non cercare facili risposte. Conduce quindi lo spettatore attraverso una serie di momenti al limite, la cui lettura dovrebbe essere rimandata alla risposta finale. Craig è o non è l'assassino? Nel rimandare la risposta, la serie cerca allora di costruire un punto di vista slegato da questa considerazione. Lo stesso sul quale i personaggi si interrogheranno ancora e ancora. La vendetta privata è sbagliata, o lo è solo quando il destinatario non c'entra niente?

Questi sono i temi della serie. Temi ai quali molto è sacrificato, a partire dalla gestione dell'intreccio, che crea tante situazioni, coincidenze particolari, piccole forzature per portare avanti la trama. Tante informazioni devono rimanere nascoste a personaggi chiave perché tutto abbia un senso per come è narrato, e serviranno false piste e sospetti e dubbi, e così la serie si adopera per fornirceli. Non tutto è perfettamente sensato, ma alla fine i temi della serie la riscattano da questi difetti. Se non altro il cast è davvero notevole. Kelly Macdonald (Boardwalk Empire) è una solidissima interprete del dolore materno e del totale rifiuto di compromessi. Ma c'è anche John Hannah (una carriera di piccoli ruoli tutti interpretati benissimo) nel ruolo del detective Stephen Grover.

Complice la breve durata, appena quattro episodi, la serie si presenta come una visione scorrevole – per quanto dura in alcuni momenti – e accattivante. È narrazione di genere, con le sue semplificazioni e forzature, ma pone un conflitto sincero, che viene svelato infine in una scena di grande impatto emotivo.

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