The Vanishing - Il Mistero del Faro, la recensione
Molto preciso nella prima parte ma in difficoltà quando è il momento di scatenare i personaggi The Vanishing è retto solo dai suoi attori
Quello che scatena il vero obiettivo, cioè costringerli a prendere scelte estreme in una situazione di vita e di morte, è il naufragio di un uomo su una piccola barca con una cassa di legno. L’uomo pare disposto a uccidere e morire per quella cassa nella quale, in breve, si scopre esserci un tesoro. È praticamente l’anello di Il Signore degli Anelli, cioè l’oggetto bramato da tutti che non solo crea tensioni interne ma attira qualcun altro sull’isola, il pretesto narrativo (e nulla è più un pretesto del “tesoro”) per creare problemi.
Fino a quel punto The Vanishing - Il Mistero del Faro si è mosso molto bene sul terreno del cinema di tensione maschile, quello in cui ad essere in ballo sono le dinamiche di sopraffazione e branco tra uomini, in cui i sentimenti che contano non sono quelli universali (fratellanza, amicizia, onestà…) ma è il peso che ha la figura di un padre in una società tradizionale come quella da cui si capisce che vengono i tre. Nell’ultimo atto però inizia a barare. Invece di lavorare sui personaggi e l’evoluzione dei loro rapporti il film affida ad un elemento esterno il cambio di carattere di uno di loro e da lì è un disastro.
Quando la trama si tende e le tensioni diventano forti emergono molti limiti della scrittura di Celyn Jones e Joe Bone che la regia (niente male) di Kristoffer Nyholm non può tamponare. Il più giovane è caratterizzato come l’impulsivo in una scelta abbastanza scontata ma è affettato per contrapporlo agli in maniera così marcata da renderlo una pura macchietta.