The Unforgivable, la recensione

La cosa davvero frustrante di The Unforgivable è che si affida alla bontà di cuore di chi guarda senza dare, dalla sua, nessuna lettura significativa

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The Unforgivable, la recensione

Quando un thriller mostra in modo evidente la sua struttura, rendendo palese che personaggi ed eventi sono lì dove sono proprio perché servono a portarci a quel finale, a quella risoluzione - il più delle volte melodrammatica - non c’è toppa narrativa/di messa in scena che regga: l’effetto “era prevedibile” è lì che ci attende al varco, esplodendo in una singola scena che vorrebbe commuovere e che, all’opposto, genera sbuffi e borbottii di ogni tipo.

Questa dinamica da thriller tormentato e un po’ goffo è esattamente quella che tarpa le ali a The Unforgivable di Nora Fingscheidt, dove una burbera Sandra Bullock (che salva il salvabile)veste i panni di Ruth Slater, ex carcerata che cerca di ritrovare la sorella perduta vent’anni prima. Del suo passato, o meglio dell'unica parte di passato che ci serve sapere, conosciamo quasi tutto fin dall’inizio: da una serie di frammenti lanciati come flashback, e che saranno ripetuti ossessivamente per tutto il film, sappiamo che è stata dentro per l’omicidio di un poliziotto ma che quest’omicidio non è davvero ciò che sembra.

Muovendosi qua e là tra tre gruppi di personaggi - la nuova famiglia della sorellina Katherine, i figli del poliziotto ucciso e la famiglia che abita nella casa dove vivevano le due sorelle - con Ruth sempre al centro, The Unforgivable gioca a fare il misterioso perdendosi invece in lunghi tempi morti salvo poi svegliarsi, giusto a metà film, con la voglia di far accadere tutto e arrivare al tanto agognato momento finale. Questa confusione non può che riflettersi su tutto il resto e in primis sul personaggio di Ruth, la quale non tanto per il suo costante silenzio (che anzi la rende più interessante), ma per l’approssimazione a cui viene ridotto, regge claudicante il peso di una trama di redenzione ma crolla di fronte alla prova di una lettura più profonda.

Per farla ancora più semplice, la cosa davvero frustrante di The Unforgivable, perdonatagli anche la sua ingenuità strutturale, è che si affida alla bontà di cuore di chi guarda senza dare, dalla sua, nessuna lettura significativa. È come se il film si accontentasse di riempirci gli occhi di momenti ad alta drammaticità (equivoci, corse contro il tempo, minacce, botte, discussioni) senza preoccuparsi di dargli un senso ulteriore. Le cose non sono mai come sembrano? Tutti meritiamo di essere ascoltati? Senza perdono non si può vivere? Un po’ tutte e un po’ nessuna.

La prova del nove di questa gravosa mancanza è che, alla fine dei conti, Ruth affida totalmente il suo senso (il suo perdono, la sua stessa esistenza) a ciò che gli altri dicono di lei. Che sia positivo o negativo, il giudizio degli altri è l’unica cosa che la caratterizza e che la spinge ad agire. Senza non è assolutamente niente. La frase fatale in un momento fatale “non farlo, perderai tutto ciò che ami”, detta da Ruth a un altro personaggio, vorrebbe farci emozionare, riempire di significato tutto ciò che abbiamo visto: e invece, al contrario, non ci dice proprio nulla.

Siete d’accordo con la nostra recensione di The Unforgivable? Scrivetelo nei commenti!

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