The Umbrella Academy (seconda stagione): la recensione
The Umbrella Academy si conferma con una seconda stagione che è lo specchio della prima, e che ormai presenta uno stile riconoscibile
Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.
I viaggi nel tempo: la causa e la soluzione a tutti i problemi della vita. Questo è uno dei trend più sfruttati del momento, insieme all'idea di multiverso, e The Umbrella Academy lo usava già nella prima stagione. Anche per la seconda, la serie Netflix conferma quell'approccio, anzi cambia davvero poco rispetto allo scorso anno. Dopo il climax incredibile con cui ci aveva lasciato, questa stagione ha infatti una lunga ripartenza che serve a impostare un more of the same lungo dieci puntate. Che sorprendono solo a tratti, ma che funzionano perché si basano su personaggi generalmente piacevoli e su uno stile che, se non riesce ad essere spiazzante, almeno è molto accogliente.
Nell'intrecciare le vicende di un gruppo di quasi supereroi con versioni alternative della storia del Novecento, The Umbrella Academy accarezza Watchmen. Lo fa sicuramente nei primi dieci minuti della nuova stagione, che potrebbero essere condizionati dalla particolare versione cinematografica di Zack Snyder (piaccia o meno). Da lì in poi, la serie racconta la propria storia, ma lo fa con quell'identità che già nella prima stagione era facile riconoscere. The Umbrella Academy infatti rimane questo: una storia che racconta un'apocalisse imminente mentre personaggi si muovono in modo coreografato o rallentato sulla base di una canzone pop.
E poi la serie è davvero piacevole. Quest'anno l'intreccio è più snello, ci sono meno deviazioni e le puntate hanno la misericordiosa durata di 40 minuti. I singoli protagonisti magari non saranno sempre piacevoli, anche perché sono quasi tutti definiti in base ai loro difetti piuttosto che al reale supporto alla squadra. Ma funzionano molto bene come gruppo, esaltandosi l'un l'altro. Luther (Tom Hopper) è il solito gigante ingenuo, Allison (Emmy Raver-Lampman) ha la trama più costruita, Diego (David Castañeda) continua a soffrire un po', ma è importante per la trama, Cinque (Aidan Gallagher) trascina il gruppo, Klaus (Robert Sheehan) sprecato dopo lo scorso anno. Per chi si aspettava un certo approfondimento per Vanya (Ellen Page) dopo il cliffhanger, la scrittura trova il modo di gestire il suo personaggio e di regalarle una storyline sua.
Con le sue specificità, questa seconda stagione è lo specchio della prima. Ne riprende ritmo, gestione dell'intreccio, spunti. L'ambientazione degli anni '60 è terreno sul quale inevitabilmente coltivare dei riferimenti a temi sociali molto presenti nella contemporaneità degli Stati Uniti, ma tutto il resto è familiare fin da subito. Chi ha apprezzato la prima stagione non avrà difficoltà ad amare anche questa.