The tribe, la recensione
Senza compromessi The tribe entra nel mondo sordomuto non per compiangerlo ma per ammirare come i soprusi passino per il dolore del corpo. Una vera scoperta
The tribe rifiuta ogni buonismo che un tema "sociale" potrebbe imporre, non relega i sordomuti in un ghetto di "diversi" nè li ritrae come buoni personaggi in attesa di riscatto, tutti i personaggi sono dei bastardi, violenti e cinici che vivono in un mondo loro fatto di loro regole, completamente impermeabile all'universo degli udenti. Slaboshpytskkiy in buona sostanza fa ai suoi protagonisti il dono più grande: la complessità.
In un istituto che in realtà nasconde un giro mafioso arriva un nuovo ragazzo, subito preso a fare da intermediario con le studentesse (che di notte si prostituiscono) e con gli studenti mandati a vendere chincaglierie sui treni. Fatalità vuole che nella più classica delle tradizioni si innamori di una prostituta, granello di sabbia che inceppa un meccanismo perfetto (quello della sua sopravvivenza in quel sistema) e che lo costringe a prendere la strada della ribellione. Noir sporchissimo che non ha tempo per il lusso delle parole.
Slaboshpytskkiy sta sempre a 5 passi dai suoi personaggi, in un film in cui non c'è nemmeno un primo piano e ogni evento è seguito ad una distanza di sicurezza che gli consente quasi sempre di inquadrare tutti dalla testa ai piedi. Nel mondo dei sordomuti non ci entra nemmeno per errore ma lo guarda da vicino. Li vediamo usare la lingua dei segni, li vediamo urlare a modo loro e sfruttare le reciproche deficienze per sopraffazione. Su tutto però regna l'idea che in questo mondo in cui non si sente niente, il valore del corpo e quindi del tatto sia superiore a quello che conosciamo. Non c'è evento di The tribe che non preveda una forte violazione della carne, dalle semplici botte, alla penetrazione fino ad un'operazione chirurgica condotta sullo squallore di una vasca da bagno, tutto per The tribe passa attraverso il dolore che non può essere urlato.