The Trainer, la recensione: sia una satira che una favola sul sogno americano

The Trainer propone sia una satira che una favola sul sogno americano dal folle regista di American History X

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Il quinto film del polemico regista di American History X (1998) è una commedia sciroccata ambientata dentro una Los Angeles di guru, celebrità e famiglie disastrate. Staremo addosso al mezzo freak Jack Flexx (Vito Schnabel) il quale è abbronzato, dai capelli ossigenati, spesso a torso nudo o con indosso una maglietta con la faccia di Osama Bin Laden marchiata da una x rossa. Ha il fisico longilineo scolpito e cerca il successo con una sua invenzione da imporre in televendita: il cappello pesante ovvero un copricapo tra i 10 e 11 chili, in ottone e acciaio, che “ti aiuta a livello molecolare”. Questo bizzarro berretto futurista che si ancora al mento con apposite fibbie e agganci di plastica, ti farà avere anche un corpo come quello di Jack perché questo buffo imbonitore non fa altro che ripetere quanto il cappello gli abbia fatto ottenere quei muscoli senza dover mai passare anche un singolo giorno dentro una palestra.

Film piuttosto folle e divertente, The Trainer cita Re per una notte (1982) di Scorsese e anche perché no La ricerca della felicità (2006) di Muccino perché ha come protagonista un individuo che cercare disperatamente di sfondare in società, scalando la piramide sociale del capitalismo. Cercherà di vendere la sua invenzione cercando sponsor ovunque e comunque dicendo anche unamareadi balle. Diventerà il tormento di celebrità come John McEnroe e soprattutto Lenny Kravitz. Con il cantante instaurerà un rapporto di “stalking” alla Rupert Pupkin di Re per una notte con il personaggio di Jerry Lewis.

Kaye gira il film con uno stile schizzato per aderire alla parlantina incessante e cocciutaggine di Jack, il quale ha una mamma paziente, un “padrino” ebreo fin troppo accondiscendente (Steven Van Zandt, strepitoso) e una signora che lavora presso il canale di televendite RVCA della quale potrebbe innamorarsi.

Una marea di cammei illustri: da Paris Hilton (che dice che aiuterà Jack solo se una quota verrà destinata in beneficenza e questo ci fa sogghignare pensando alla sua amica Chiara Ferragni) a Snoop Dogg passando per Sharon Stone, Bono, Chris Rock e Jason Momoa. I titoli di coda sono forse la parte più divertente del film per la proliferazione di volti noti. Appare anche il regista Kaye nei panni di un urug cioè un guru, letteralmente, pronunciato al contrario. In realtà una follia così ben orchestrata colpisce nel segno: questa parodia di sogno americano è una visione realistica di quel calderone di opportunità e confusione ideologica che sono ancora gli Stati Uniti d'America.

Vito Schnabel, che nel fisico somiglia a Peter Hinwood quando faceva il Frankenstein culturista abbronzato in The Rocky Horror Picture Show (1975), è irresistibile. Non lo solo interpreta Jack ma è anche sceneggiatore e produttore. Il suo genuino candore da squilibrato gentile fa sì che il film sia un satira e insieme una favola. Non è facile.

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