The Town of Light, la recensione

L’italianissimo team di LKA ci regala una toccante avventura grafica: la recensione di The Town of Light

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La giovane Renée è l’avatar, il simbolo, la metafora prescelta dall’italianissima LKA per ribadire che i videogiochi abbiano tutto il diritto, nonché il dovere, di affrontare certe tematiche senza alcun timore reverenziale, persino sfidando, con un pizzico di irriverenza, lo stato dei fatti, la comune ed erronea concezione di un medium che andrebbe fruito unicamente come fonte di svago. The Town of Light è un prodotto originalissimo nel modo di confrontarsi con la sua utenza, pretendendo e instaurando un dialogo quanto mai diretto, schietto, tutt’altro che edulcorato. Se Outlast e Dementium popolavano le strutture sanitarie prescelte di (surreali) mostruosità assortite, se Silent Hill da sempre preferisce la strada dell’allegoria per inscenare i drammi dei suoi protagonisti, l’avventura proposta da LKA è priva di filtri, evita i giri di parole, sceglie di sporcarsi le mani con la realtà.

A questo proposito sono serviti i numerosi sopraluoghi del team di sviluppo nell’ex-manicomio di Volterra, in Toscana. Artisti e tecnici non si sono limitati a riprodurre fedelmente la struttura, oggi un fatiscente rudere parzialmente fagocitato dalla vegetazione: si sono documentati dettagliatamente circa gli orrori consumati tra le sue mura.Renée, difatti, è solo una tra le tante vittime di un sistema sanitario che nel 1938, in pieno Fascismo, non era ancora preparato, né interessato, a prendersi cura dei malati psichiatrici che venivano sottoposti alle attenzioni dello staff di medici e infermieri. Più che una possibile cura, nell’edificio gli ospiti trovavano una prigione in cui venivano segregati, così da essere separati, divisi dal resto della società.

[caption id="attachment_151324" align="aligncenter" width="508"]The Town of Light screenshot 1 Le cut scene sono state realizzate utilizzando delle illustrazioni disegnate a mano dagli artisti del team di sviluppo.[/caption]

The Town of Light non è altro che un racconto interattivo del dramma di un’adolescente qualunque seviziata, stuprata e poi dimenticata da chi, in teoria, avrebbe dovuto aiutarla a superare paure e stati mentali tragicamente alterati. Come in una qualsiasi avventura grafica si esplora ogni ambientazione a caccia di documenti e prove che testimonino il susseguirsi di soprusi subiti dalla protagonista, nel (vano) tentativo di rendere giustizia alla sua storia. Il gioco è difatti ambientato ai giorni nostri e solo in specifici momenti si vivono dei veri e propri flash-back utili a esperire in prima persona, e non filtrati attraverso testi scritti o brevi dialoghi, alcuni dei fatti più significativi. C’è la violenza di un infermiere, il progressivo disinteresse dei medici curanti, la sconsolante assenza dei familiari, il tepore di un’amicizia (e di un amore) prematuramente e violentemente interrotta. Come anticipato non si fanno sconti. Mentre le cut scene mostrano senza censure i fatti, la voce fuori campo di Renée ripercorre e ricostruisce i suoi pensieri, le sue emozioni.

"C’è un evidente scollamento temporale tra la protagonista e il videogiocatore, costretto in un indefinito ruolo di spettatore e testimone"

C’è un evidente scollamento temporale tra la protagonista e il videogiocatore, costretto in un indefinito ruolo di spettatore e testimone, spesso incalzato dalla giovane a rispondere, a dare un suo parere, a commentare quanto visto esponendosi in prima persona. Si tratta di un semplicissimo, ma efficacissimo espediente con cui il gioco induce a riflettere sul valore della realtà, sulla differente prospettiva che può assumere la stessa storia. Il focus è a totale appannaggio dell’esplorazione del manicomio, della narrazione, del lento dischiudersi di un dramma che nella sua conclusione tocca le giuste corde emotive. Gli enigmi sono pochissimi, tutti di facile risoluzione, e non ci sono oggetti da raccogliere e combinare tra loro. Il riferimento, insomma, è Dear Esther, piuttosto che Broken Sword.

[caption id="attachment_151328" align="aligncenter" width="508"]The Town of Light screenshot 3 Durante la review non abbiamo avuto modo di testarlo, ma al Lucca Comics & Games scorso abbiamo giocato a The Town of Light con Oculus. Inutile dire che l’esperienza guadagna moltissimo in termini di impatto.[/caption]

Ad impedire all’avventura di raggiungere l’eccellenza, una piccola serie di difetti e limiti che finiscono per influire negativamente sull’esperienza. Il più grave ed impattante riguarda la struttura narrativa, non sempre in grado di conservare il giusto livello d’enfasi e pathos. Se l’incipit colpisce quel tanto che basta per invogliare lo spettatore e saperne di più, la parte centrale perde quel pizzico di mordente che invece il finale reinnesta con efficacia. Inoltre, tecnicamente non mancano diverse sbavature. Da texture non proprio definite, a qualche bug grafico, nel mezzo ci si mettono anche diversi effetti sonori mal campionati e un doppiaggio italiano in certi frangenti poco convincente. The Town of Light è comunque un’opera coraggiosa, ben realizzata e dal sicuro impatto. Non è certamente un esperimento perfetto, ma sa emozionare, commuovere, pensare. Il che non è mai poco.

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