The Third Day (prima stagione): la recensione

La recensione di The Third Day, la miniserie con star Jude Law e Naomie Harris, serie che fonde con intelligenza misteri e dramma umano

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Sarebbe riduttivo in una recensione definire The Third Day la versione televisiva di The Wicker Man o Midsommar: la miniserie in sei episodi creata da Felix Barrett e Dennis Kelly sfrutta elementi in comune con i film di genere solo come base per un'affascinante, e molto dura emotivamente, analisi del modo in cui gli esseri umani elaborano e affrontano il lutto e i sensi di colpa.

La storia ha preso il via con Sam (Jude Law) che si imbatte in una ragazza in evidente difficoltà, decidendo di accompagnarla dalla sua famiglia sull'isola di Osea, raggiungibile solo quando la marea si ritrae rivelando la strada. L'uomo ha con sé una grande somma di denaro che ha rubato ed è alle prese con molti problemi personali, essendo l'anniversario della morte del figlio Nathan. Sam sull'isola fa i conti con una comunità apparentemente accogliente, estremamente religiosa e misteriosa, avvicinandosi immediatamente a Jess (Katherine Waterston), una madre di due figli il cui rapporto con il marito non è dei migliori. Il protagonista si rende ben presto conto che non tutto è ciò che sembra e ci sono dei segreti che lo mettono in pericolo oltre a legarlo all'isola e alla mitologia di Osea. Dopo un evento trasmesso live della durata di 12 ore che si è svolto sull'isola, e ha coinvolto anche Jude Law e la star della musica Florence Welch, la miniserie ha compiuto un salto temporale dall'Estate, stagione in cui Sam arriva ad Osea, all'Inverno, quando Helen (Noamie Harris) giunge ad Osea con le figlie Ellie (Nico Parker) e Talulah (Charlotte Gairdner-Mihell) e trova una comunità divisa e una tensione crescente.

Il progetto Third Day, composto in totale da 18 ore, sfrutta gli elementi religiosi e mitologici in modo molto intelligente, creando un'atmosfera a tratti disturbante, che non perde però mai di vista l'aspetto umano della vicenda. Le limitazioni causate dalla pandemia hanno, purtroppo, limitato l'esperienza immersiva ideata dal duo composto da Kelly e Barrett, gli specialisti del settore con il nome di Punchdrunk, ma la miniserie ha comunque potuto sfruttare il talento innegabile dei protagonisti per portare sugli schermi il dramma più grande che possa vivere un genitore, l'omicidio del proprio figlio, proponendo due figure tragiche che hanno scelto un approccio diverso al dolore: da una parte un padre che perde il controllo e scivola rapidamente nella follia e dall'altra una madre che cerca di anestetizzare la propria sofferenza per continuare a vivere ed essere presente per le proprie figlie, rischiando così di apparire fredda e distaccata. Jude Law e Naomie Harris sono impeccabili nelle loro interpretazioni, valorizzate dalla regia delle due parti del progetto, affidata rispettivamente a Marc Munden e Philippa Lowthorpe. Estate e Inverno, stagioni che diventano così metafora della situazione emotiva dei rispettivi protagonisti, sono caratterizzate da stili visivi e da una fotografia molto differenti, seguendo il susseguirsi di rivelazioni e follie che avvengono a Osea. Gli autori sono stati abili nel delineare due protagonisti che vanno alla ricerca di redenzione scegliendo due percorsi in opposizione e l'epilogo della storia sembra possedere tutte le carte in regola per avere un grande impatto emotivo negli spettatori che avranno saputo lasciarsi trascinare nella realtà di Osea.

Nonostante la location unica diventi un personaggio della storia a tutti gli effetti, assistendo alle performance dell'intero cast è impossibile non notare l'impronta teatrale degli script che ruotano su momenti chiave composti da confronti e momenti di riflessione che potrebbero svolgersi senza alcun problema, con un ovvio adattamento scenico, su un palcoscenico. Le tematiche al centro di The Third Day sono universali e ben gestite: dall'amore per i propri figli alla ricerca di una "guida", dal bisogno di sentirsi parte di una comunità alla resilienza, senza dimenticare la voglia di potere e la fede cieca in qualcosa di intangibile

Kelly e Barrett non hanno esitato a sfruttare elementi religiosi e metafore, alcune più evidenti come lo stesso titolo e altre più sottili e in secondo piano, per provare a capire quali sacrifici le persone sono disposte a fare per un bene superiore e ciò che viene associato alla morte. I misteri di Osea, un po' come accaduto in Lost o in The Leftovers, hanno inoltre un ruolo importante ma non essenziale per apprezzare la narrazione e le sei puntate, pur lasciando in sospeso molte domande, non lasciano insoddisfatti gli spettatori.
Il ridotto numero di episodi rende invece quasi impossibile approfondire in modo adeguato tutti i personaggi coinvolti nella storia e dispiace un po' che Katherine Waterston nel ruolo di Jess non abbia avuto un atto della miniserie totalmente da protagonista, mentre la coppia composta da Paddy Considine ed Emily Watson, interpreti dei coniugi Martin, è una presenza enigmatica che possiede la giusta dose di normalità e follia che la rende così efficace e memorabile.

La fotografia curatissima e una colonna sonora (firmata da Cristobal Tapia de Veer e Dickon Hinchliffe) contribuiscono a costruire un'esperienza televisiva che, nonostante dei punti deboli, coinvolge con la sua capacità di addentrarsi nella mente e nell'animo di due persone messe di fronte al lutto e che devono capire se vogliono lasciarsi andare o lottare contro la corrente che li sta trascinando verso il dolore e le macerie di ciò che è stato.

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