The Tender Bar, la recensione
The Tender Bar di George Clooney è un coming-of-age svogliato e che senza alcun tirante narrativo gira a vuoto attorno ai suoi personaggi non sapendo cosa dire.
Esiste qualcosa di più frustrante in un film di una premessa interminabile che non si concretizza in niente? Forse la sensazione stessa che pure il suo autore non abbia interesse alcuno a raccontare la sua storia. Questa orribile consapevolezza pervade dall’inizio alla fine la visione di The Tender Bar di George Clooney: un coming-of-age svogliato e che senza alcun tirante narrativo gira a vuoto attorno ai suoi personaggi non sapendo cosa dire.
La vita di J. R., o meglio quella raccontata da The Tender Bar, è una vita passata a cercare e ad odiare la voce del padre speaker radiofonico (detto appunto “La voce”) che lo ha abbandonato quando era piccolo, e che questo cerca di dimenticare tra le coccole della madre (Lily Rabe) e i consigli “da vero uomo” del sopracitato zio Charlie (Ben Affleck, forse l’unico che riesce a dare una certa profondità al suo personaggio), un lettore accanito che nel suo Dickens Bar di Long Island fa crescere in J. R. l’aspirazione a diventare uno scrittore.
Il percorso di J. R. viene invece presentato come conflittuale (il padre alcolizzato e cattivo, la ragazza che lo lascia più volte, la carriera che non va come dovrebbe) ma non è mai conflittuale dentro al personaggio. J. R. non rischia mai nulla perché non vuole nulla. Le cose gli accadono e lui reagisce. Per questo motivo, una volta che si arriva alla fine, The Tender Bar sembra non avere detto nulla se non che un giorno si diventa grandi. Né il passato di J. R. né il suo presente riescono a influenzarlo (sebbene la storia dovrebbe essere questa): e così non ci sono alti e bassi, scene catartiche: no, nemmeno la resa dei conti col padre. Tutto giace sulla stessa linea retta.
La sceneggiatura di William Monahan e la regia di Clooney non riescono a sopperire a questa mancanza, lavorando entrambi verso l’esito meno faticoso possibile. Clooney, che negli ultimi film sembra avere perso la bussola (il tentativo di commedia nera alla Coen Suburbicon, lo sci-fi filosofeggiante The Midnight Sky), conferma con The Tender Bar non solo che senza una buona sceneggiatura è totalmente perso, ma che, facendo dipendere la sua regia in modo mimetico dal tipo di storia che ha tra le mani, non è forse ancora pienamente convinto dei suoi stessi mezzi.
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