The Swords of Ditto: Mormo's Curse, un action adventure compatto che funziona a metà - Recensione

Un action adventure mescolato a elementi roguelike: la recensione di The Swords of Ditto: Mormo's Curse

Un giorno troverò qualcosa di interessante da scrivere qui dentro.


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Cercare di coniugare l'action adventure à la The Legend of Zelda (con una spruzzata RPG) a una impostazione di stampo roguelike è quanto The Swords of Ditto: Mormo's Curse prova a fare, ridimensionando l'ampio respiro tipico della tradizione del genere e proponendo una struttura di gioco molto più compatta, con un mondo tutto sommato piccino, per quanto ben popolato da nemici, dungeon che constano di poche stanze, se non di giusto un paio, missioni secondarie che non vanno oltre l'accoppare qualche mostro o recuperare certi oggetti, un sistema di progressione estremamente basilare. Un'idea sicuramente intrigante, che ricorda almeno nella concezione Half-Minute Hero, fulmineo gioco di ruolo, ma che funziona solo parzialmente perché nell'applicazione manca proprio di quell'elemento che invece della serie Marvelous ha segnato la fortuna: il ritmo.

La storia è quella di una maledizione che ogni cento anni cade sull'isola di Ditto, con il ritorno della strega Mormo. Nello stesso momento dell'avvento della malvagia, l'arrivo di un eroe, che impugnata una leggendaria spada cerca di contrastarla. Sembrerà strano, ma la vera protagonista del gioco, almeno in termini ludici, è proprio l'arma, perché è essa che cresce di livello, potenziando coloro che nel corso dei vari cicli, e quindi delle partite, la andranno a impugnare. Molti di essi cadranno e, salvo che per un particolare espediente, non potranno tornare in vita, ecco quindi un nuovo ciclo, una nuova versione dell'isola, una nuova avventura: in sostanza, ecco come si esplica la natura roguelike della produzione.

[caption id="attachment_195606" align="aligncenter" width="1920"]The Swords of Ditto: Mormo's Curse screenshot L'estetica bidimensionale del gioco è bellissima[/caption]

Inizialmente il feeling generale è quelli dei classici dell'epoca 16 bit, su tutti quel capolavoro che risponde al nome di A Link to the Past, ma la sensazione dura in realtà poco tempo, quello necessario per morire la prima volta e iniziare a capire i meccanismi della produzione sviluppata da onebitbeyond. Si attraversa un mondo che cambia attorno a ogni nuovo portatore della spada e l'azione principale che esso compie è attaccare con essa i vari mostri che lo popolano, non particolarmente ostici, quanto basta a tenere un po' impegnati. Quando inevitabilmente si paga dazio all'inesperienza o a qualche passaggio più impegnativo e si tirano le cuoia c'è la possibilità di mantenere alcuni potenziamenti, ma il perno della progressione rimane il semplice avanzamento di livello, che rende più approcciabile ogni nuovo tentativo di sconfiggere Mormo, nonostante un certo adeguamento della difficoltà dei nemici al miglioramento del giocatore.

"Il problema più grande del gioco è la sua lentezza"Grazie anche a una veste grafica bellissima le prime ore non possono non colpire il giocatore, tra una spadata e l'altra. In questo piccolo compendio dell'action adventure, splendidamente miniato da una veste grafica bidimensionale colorata, dettagliata e dallo stile originale, ricorrono tutti gli elementi tipici del genere, ma progressivamente ci si rende conto che nessuno di essi viene declinato in maniera convincente. Ci sono i dungeon, sì, ma il loro disegno è banale, i puzzle che propongono sanno troppo di già visto; si collezionano tanti oggetti secondari, ma raramente si sente la necessità di utilizzarli e anch'essi non propongono niente di particolarmente nuovo. Il problema più grande del gioco, però, è la sua lentezza. Intesa come movimento del personaggio, in primis, persino dei caricamenti, a volte atroci, necessari anche solo per passare da una stanza all'altra di un sotterraneo, ma è un elemento ricorrente in molteplici aspetti, come nel ripetersi in ogni partita di certi dialoghi o nel dover cercare determinati luoghi per affrontare nella maniera giusta il confronto finale. In un gioco con un caratterizzante elemento roguelike, che costringe il giocatore a molteplici sessioni, si tratta di una problematica non indifferente, che di fatto quasi ammazza il divertimento.

[caption id="attachment_195607" align="aligncenter" width="1920"]The Swords of Ditto: Mormo's Curse screenshot L'avventura è affrontabile anche in modalità cooperativa locale[/caption]

Non è quindi pienamente riuscito il tentativo di compattare l'action adventure in un'esperienza più piccola e ripetibile secondo i canoni roguelike, perché mal si incastrano esplorazione e dungeon con mappe casuali e morti permanenti e soprattutto perché la produzione è priva di mordente, quello che consentirebbe di soprassedere sui problemi strutturali del gameplay e la cui mancanza invece rende ancora più evidenti.

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