The Suicide Squad – Missione suicida, la recensione

The Suicide Squad è un film mentalmente importantissimo per l'universo DC. James Gunn lascia liberi i personaggi di scrivere la loro storia

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La premessa è poco diversa da quella del Suicide Squad di David Ayer: Amanda Waller recluta un team di supercriminali reietti e cattivissimi a cui assegnare le missioni che nessuno vuole fare. Un gruppo di sacrificabili dai poteri bizzarri e che fatica non poco ad andare d’accordo. Una Justice League segreta che non funziona come quella titolare, una squadra segreta che non conquista i media e non affascina i bambini. Un gruppo di sacrificabili (come direbbe Stallone) la cui vita non importa a nessuno.

Dentro questo high concept c’è però tutta la differenza che può passare tra un film realizzato seguendo l'agenda di uno studio e quello di un autore, tra un’opera commissionata per piacere a tutti e una personale che deve piacere a chi la fa. Per dirla in altri termini: The Suicide Squad – Missione suicida è puro James Gunn tanto quanto Suicide Squad era frutto dei montatori scelti dalla Warner. A differenza del precedente è un film libero, leggero come l’aria, idiota come promesso, ma anche fresco e travolgente. E per questo non piacerà a tutti, perché è un film da prendere o lasciare con un'idea ben precisa in testa, ma se si è della partita tutto ciò che è stato promesso viene restituito.

The Suicide Squad è, soprattutto, un’opera mentalmente e moralmente importantissima per l’universo DC al cinema. Per la prima volta (eccezion fatta forse per Shazam!) un film riesce a liberarlo dalla riverente venerazione verso i personaggi. Quel senso di rispetto che li portava ad essere trattati come se fossero sempre più grandi del film in cui sono posti. Il Batman e il Superman di Zack Snyder sono scritti da un fedele ad un culto. La sgangherata combriccola di James Gunn è gestita da un autore che ama visceralmente i personaggi e quindi li mette in difficoltà e li tormenta con la foga creativa. The Suicide Squad è così più appassionato alle dinamiche che può creare con le pedine a disposizione che al contributo che può lasciare alla mitologia.

Che James Gunn abbia goduto di una grande libertà lo si vede sin dall’incipit, in assoluto uno dei momenti che meglio raccontano la scanzonata filosofia dietro al progetto. Il regista è Amanda Waller: una figura distante, ma che segue l’azione da dietro le quinte. Ha un accesso privilegiato, vede tutto, e ha in mano le vite dei sottoposti. Potentissima, ma anche in balia delle personalità in azione. L’unica cosa che può fare è infatti predisporre le pedine sulla scacchiera e lasciarle fare.

the suicide squad re squalo

Se la missione, così come il film, non è costruita con la giusta combinazione di caratteri e poteri fallirà brutalmente. Allora bisogna ripartire da zero, riscrivere il gruppo, trovare una nuova chimica al suo interno e lasciarlo essere se stesso sperando che funzioni.

Il lavoro che fa James Gunn con The Suicide Squad è analogo. Si è divertito in sceneggiatura, e si vede! Ha attinto a piene mani dallo sconfinato mondo di personaggi (più o meno) secondari dei fumetti DC e li ha lasciati vivere sulla pagina. Sembra un film che si è scritto da solo, tramite una logica successione di dialoghi e azioni di antieroi diversi e incompatibili. Fatto con il pilota automatico, lasciato in mano ai personaggi. perché è così che chiedeva quel gruppo di reietti.

C’è sicuramente meno cuore rispetto a Guardiani della Galassia, ma per tutto il terzo atto si scorge l’amore viscerale dell’autore verso i reietti e i diversi. Notate a che attore è affidato quell’unico momento di morale e di “sospensione dell’ignoranza”, una scelta non casuale e con infiniti strati “meta”, non solo cinematografici, ma anche aziendali. 

Siamo dalle parti di Super - Attento crimine!!!, ma infinitamente più distruttivo e spettacolare. The Suicide Squad è un film fuori controllo, come una derapata sul ghiaccio. Fino alla fine non si sa se ci si andrà a schiantare o se l’acrobazia riuscirà. E il numero riesce eccome, per lo meno per chi vuole ritrovare la sensazione della carta stampata da quattro soldi acquistata in edicola. The Suicide Squad ha quel profumo lì. Possiede l’atmosfera di fumetti anni ’70-’80 presi a caso dagli scatoloni in cui sono ammucchiate tutte le storie "minori" (inteso come "non portanti") e fuori dalla continuità. C'è persino la sensazione di essersi perso qualche puntata (quando Bloodsport ha mandato in terapia intensiva Superman? Proprio nei fumetti!). E non è un caso che il terzo atto, solitamente ambientato in un’oscurità gotica o nell’epica polvere, trovi qui un minimale bianco da carta stampata.

Il film si pone volontariamente come uno sfogo creativo. Accumula, anzi ammassa, tutte le idee più esagerate e le contamina con i generi. L’esito è freschissimo. Inizia come un film di guerra alla Salvate il Soldato Ryan esageratissimo quasi come una parodia. Prosegue come un prison movie in cui la struttura di detenzione è quasi un isolamento volontario dei carcerati dal resto del mondo. Poi diventa un horror di serie z con gli scienziati pazzi e i mostri. Infine c’è tutto il piacere della distruzione da Kaiju virata nel modo meno drammatico e più esilarante possibile.

Sebbene James Gunn abbia scritto la migliore versione dell’Harley Quinn di Margot Robbie fino ad ora, le vere superstar sono interpretate da Idris Elba e John Cena. Bloodsport e Peacemaker sarebbero stati in grado di reggere l’intero film da soli. Una nota di merito anche a Polka-Dot Man: un personaggio impossibile da tradurre su schermo che invece trova il modo, nel suo poco screen time, di intenerire e far morire dal ridere. Peccato invece per King Shark che ha visto i suoi momenti migliori rovinati dai trailer. Anche questa volta, non avrebbe fatto male un po’ più di discrezione nel mostrare qualche colpo di scena in meno nei materiali promozionali.

The Suicide Squad non è certo un film che punta in alto, ma spara un colpo e centra esattamente il bersaglio che stava mirando. In un cinema di supereroi che spesso tende alla raffinatezza da Oscar per poi fallire miseramente sotto il peso delle ambizioni, una storia come quella di James Gunn che è esattamente quello che si propone, appare come una gran boccata di ossigeno. Anche se il gioco potrebbe non reggere eventuali sequel.

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