The Substance, la recensione I Cannes 77

La nostra recensione di The Substance, nuovo film di Coralie Fargeat presentato in concorso al Festival di Cannes 2024

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La nostra recensione di The Substance, presentato in concorso al Festival di Cannes 2024

Coralie Fargeat ce l'ha fatta. Un'intera tradizione di cineasti francesi che alla prima trasferta americana staccano (o fanno un'opera molto più addomesticata) e poi finalmente arriva lei: The Substance non è affatto una riduzione della potenza di fuoco di Revenge, anzi ne è un incremento.

Elisabeth (Demi Moore) è una stella del cinema ormai anziana che deve fare i conti con le inderogabili leggi del sistema. Le dedicano una stella sulla walk of fame, ma non c'è più spazio per lei una volta raggiunti i 50 anni e pure il suo programma televisivo di fitness sta per chiudere. All'improvviso una possibilità: una strana sostanza che le permette di creare una versione migliore di se stessa (leggi: più giovane e attraente). Obbligatoria è però l'alternanza tra i corpi, una settimana ciascuno, senza deroghe. Così nasce Sue (Margaret Qualley), che col suo fascino cattura subito produttori e spettatori e diventa una star della televisione, mettendo il suo corpo in bella mostra sullo schermo e sui manifesti. Cosa può andare storto? Tutto ovviamente, soprattutto quando Sue comincia a richiedere più tempo per se stessa, a discapito di Elizabeth.

L’incipit è da perfetto b-movie, molte svolte della trama sono ampiamente prevedibili, ma è tutto voluto, tutto ricercato, una base su cui poggiare riflessioni di notevole profondità. Da Revenge ritorna la visione del maschio come un animale famelico (di sesso e di cibo) e soprattutto la predilezione di Fargeat nel filmare il corpo femminile nei più provocanti dettagli. Una visione voyeuristica che rappresenta lo sguardo dell’uomo, la sua oggettivazione della donna tramite il suo occhio e quello dei dispositivi di ripresa, in un discorso che finisce per riguardare lo spettatore stesso. Rispetto a Revenge, la lotta della protagonista non è contro l'uomo violento ma contro se stessa: Elizabeth/Sue è in balia di quella società dello spettacolo che per la donna chiede bellezza eterna, ed è lei per prima a farne le spese, diventando ambasciatrice di questo ideale.

In 140 minuti di durata, Fargeat frulla mutazioni cronenberghiane (col tocco ironico di Julia Ducournau), un finale gargantuesco che richiama Miike, ma anche angolazioni ricercate e grandangoli kubrickiani. Materia "bassa" messa in scena con stile "alto": la cura formale è sintomo della volontà di non ridurre il film ai soli momenti gore e splatter e di riallacciarsi a una florida eredità cinematografica, trovando comunque il proprio spazio espressivo. A livello teorico, il riferimento principale è poi The Neon Demon, nel tema del feticismo della bellezza, una merce per lo sguardo altrui nell'era contemporanea dell'apparire. Sue diventa la rappresentazione dell’american sweetheart del nuovo millennio, dove lo schermo in cui sognare di arrivare non è più quello grande del cinema ma quello piccolo di squallide trasmissioni televisive e una bellezza folgorante e "pura" (così la definisce il produttore) è sessualizzata agli occhi di un'intera nazione.

The Substance non sbaglia un colpo, non rinuncia alla confezione di genere e a shock visivi ma risulta molto di più che un semplice divertissement. Un'opera che rilancia ancora di più le ambizioni di un'autrice capace di non scendere a compromessi anche lavorando oltreoceano.

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