The Strain (prima stagione): la recensione
La prima stagione di The Strain, la serie di Guillermo del Toro, non convince come dovrebbe
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La prima stagione di The Strain può essere idealmente divisa in due parti. Nella prima l'epidemia è ancora sotto controllo, e i pochi eventi sono circoscritti alle abitazioni dei sopravvissuti rimandati alle loro famiglie, o tornati di loro volontà e di nascosto, come la bambina del finale di Night Zero. Parallelamente a questo, la serie racconta la formazione del gruppo di "cacciatori di vampiri" guidato da Abraham Setrakian (David Bradley). Quindi lo sconcerto, il rifiuto e l'indignazione degli scienziati Eph Goodweather e Nora Maestro (gli insipidi Corey Stoll e Mía Maestro) e la loro presa di coscienza dell'impossibilità di trattare il fenomeno come una normale epidemia.
La chiave di tutto potrebbe essere: Guillermo del Toro gioca. È un nerd al potere, e qui infarcisce la sua creatura di numerosi riferimenti all'immaginario horror e non solo. Dall'incipit al nome di Setrakian, che richiama quello di Van Helsing, ovviamente Dracula è tra i punti di partenza. Ma del Toro è anche un lovecraftiano doc, e quindi ecco orrori innominabili – e che funzionano decisamente meglio quando sono solo suggeriti e non mostrati – e addirittura un richiamo, pur se solo verbale, agli Antichi. Quindi l'orrore che, come nel Labirinto del Fauno o Hellboy, non è l'eccezione, ma la regola che si manifesta una volta che si solleva il velo d'ignoranza che lo separa dal mondo "reale". D'altra parte la visione di del Toro e del suo collega Chuck Hogan non è sovrannaturale, non del tutto almeno.
In molti momenti si avverte un genuino e concreto senso di orrore in ciò che si manifesta. Orribili protuberanze che stritolano e prosciugano il sangue della vittima, mostruosi bambini decapitati, schifosi organi ripieni di vermetti che affogano in eterno, autopsie su corpi mutilati e completamente infettati. Tutto questo senza volersi mai prendere sul serio, con la giusta cattiveria e una buona dose di azione che permette al livello di guardia di rimanere alto nonostante i momenti di blackout, e non solo grazie al giusto minutaggio degli episodi.
D'altra parte l'orrore funziona meglio quando riesce a non mostrarsi, e nel momento in cui The Strain scopre le carte dimostra di non avere in mano quel buon punteggio che credevamo. Il grottesco "master", una sorta di via di mezzo tra un folletto della Gringott e la gremlin femmina dell'omonimo sequel, non è la nemesi che speravamo di vedere. La vicenda soffre di vari e sparsi cali, soprattutto nella storyline che riguarda le poco interessanti vicende familiari di Eph (la ricerca della moglie Kelly e il rapporto con il figlio Zach), per non parlare dell'improbabile personaggio di Gus, mentre non si contano le forzature di cui la storia si serve per giustificare se stessa.