The Spy: la recensione
The Spy, distribuita su Netflix, è una coinvolgente miniserie di spionaggio, ma soprattutto è il primo progetto in cui Sacha Baron Cohen interpreta un vero ruolo drammatico
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Si tratta della storia vera della spia israeliana Eli Cohen. Reclutato dal Mossad nei primi anni '60, l'uomo passa i seguenti anni assumendo una seconda identità. Ciò lo porta a contatto di ambienti politici, militari e economici soprattutto in Siria, giungendo a sfiorare le vette del potere. Sullo sfondo di grandi eventi storici, la serie ne racconta i retroscena personali, con la solitudine della moglie e la difficoltà nel conciliare la sfera privata e quella personale.
Deve farlo – mantenendo spesso quel sottile equivoco anche in fase promozionale (Grimsby) – per ampliare la portata della recita. Eppure ognuno di quei personaggi vive un sottile legame con i precedenti, quella implicita consapevolezza dello spettatore che sa di trovarsi di fronte all'ennesima incarnazione di Sacha Baron Cohen, che in ognuno di essi sopravvive e ride di nascosto. Ciò non vuol dire affatto che questa sia o no la sua interpretazione migliore, ma è certamente un passo diverso nel suo percorso interpretativo.
Il drama in sé è coinvolgente. Ci si appassiona alla storia di questa spia che deve lottare per rimanere al sicuro, mentre cerca di compiere il proprio lavoro. La portata degli eventi storici, così come la costruzione dell'intreccio e dei dialoghi, è probabilmente raccontata in modo troppo semplice, e l'impressione costante è che da qualche parte qui la storia celasse una maggiore profondità e complessità. Ma, come detto, il punto di maggior interesse in The Spy non è quello.