The Spectrum Retreat, i colori dell’enigma – Recensione

Un puzzle game che ricorda Portal sviluppato da un piccolissimo team: la recensione di The Spectrum Retreat

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Non è una novità che alcuni grandi progetti della storia videoludica siano nati dal nulla, da un piccolo crogiolo di menti e talenti destinati a creare opere in grado di collocarsi saldamente tra le migliori in assoluto. The Spectrum Retreat ha tali origini: puzzle game firmato da Daniel Smith, vincitore ai BAFTA 2016 del Game Making Award, è rimasto in balia degli eventi, finché Ripstone Games non ha deciso saggiamente di accogliere il giovane sviluppatore tra le sue fila, accompagnandolo ad un piccolissimo studio di sviluppo.

The Spectrum Retreat si ispira dichiaratamente a produzioni come Portal. Prima persona, narrazione enigmatica ed asciutta, gameplay votato alla risoluzione di enigmi basati sulla pura logica. Questo è, ad una prima occhiata, il suo potenziale difetto peggiore. Impossibile infatti non essere assaliti da una sensazione di già visto mettendo mano al gioco.

Ma il piccolo team ha saputo intelligentemente ricavarsi una sua nicchia puntando su qualcosa di diverso dalla sua concorrenza. Se Portal faceva della fisica la spina dorsale della struttura delle sue sfide, The Spectrum Retreat si basa sui colori.

[caption id="attachment_187542" align="aligncenter" width="1920"] Gli enigmi non sono mai banali, soprattutto nelle fasi più avanzate[/caption]

In breve, ogni sfida è composta da aree più o meno ampie, composte da più o meno porte, che possono essere attraversate solo dopo aver catturato un colore specifico attraverso una sorta di smartphone avveniristico.

All’inizio i colori sono solo due, ma in breve tempo aumenteranno in rapporto alla complessità dello schema stesso. In ogni stage ci sono cubi colorati e cubi neutri, totalmente bianchi. Questi ultimi servono da contenitore per rilasciare o catturare un colore specifico, che nel frattempo andrà a modificare il colore stesso dello smartphone, tenuto sulla mano sinistra. Capiterà quindi di sfruttare finestrelle, buchi nel muro o soffitto, con angolature sempre più diaboliche, per poter catturare e rilasciare i colori necessari a superare la porta del momento.

"Va dato atto a The Spectrum Retreat di offrire una curva di apprendimento perfetta"Va dato atto a The Spectrum Retreat di offrire una curva di apprendimento perfetta. Morbida inizialmente, poi sempre più ripida ma mai fastidiosa. Gli enigmi allo stesso modo sono abbastanza stimolanti, sempre diversi e, tendenzialmente, è difficile ritrovarsi di fronte a qualcosa di giù affrontato in precedenza.

Sfide che, lo ricordiamo, sono basate interamente sulla logica. Proprio per questo capiterà anche di dover ricominciare da capo interi livelli nel caso ci si sia sbagliati nel manovrare i colori, complice la fretta magari. Un elemento che può dare fastidio all’inizio e anche più in là nell’avventura, quando i livelli iniziano ad essere sempre più lunghi e fallire può significare dover ripetere sezioni da svariati minuti.

[caption id="attachment_187543" align="aligncenter" width="1348"]The Spectrum Retreat screenshot L'estetica del gioco è davvero ben curata[/caption]

Appurato che, come puzzle game, The Spectrum Retreat è davvero brillante, l’aspetto carente della produzione è sicuramente il comparto narrativo.

L’avventura inizia in un hotel in cui, a prescindere dalla manovalanza composta da robot inespressivi, non sembra esserci nessun altro. Tranne la persona all’altro capo dello smartphone che guiderà il giocatore, fornendogli istruzioni e compiti da svolgere nei momenti tra una serie di enigmi e l’altra.

Nell’albergo è evidentemente successo qualcosa, e mano a mano andremo a scoprire i misteri dietro a questa situazione enigmatica. I quadri riveleranno dettagli sempre meno criptici, così come ci saranno altre occasioni per dipanare il mistero. Tuttavia il ritmo in queste sezioni è molto lento, perché inframezzato da lunghe camminate senza alcun tipo di verve, costretti a svolgere degli incarichi che sono tutto fuorché invitanti. In breve si finisce per voler terminare in fretta le sequenze narrative per tornare alle ben più esaltanti fasi di risoluzione degli enigmi. Un peccato, perché inevitabilmente le buone intenzioni c’erano tutte, partendo anche da un doppiaggio ottimo per una produzione del genere.

L’ultima criticità, che lascia il tempo che trova considerando il budget e le dimensioni esigue dello studio, non possiamo non sollevarla di fronte all’aspetto tecnico. Su PlayStation 4, la versione giocata, abbiamo trovato ben poco lungimirante la necessità di utilizzare il touchpad per interagire con gli oggetti nelle fasi narrative, quando sarebbe stato ben più intuitivo utilizzare un semplice tasto. Inoltre, l’estetica non è di certo raffinata, con texture molto banali e le ambientazioni dell’albergo molto spoglie (quelle dei puzzle sono volutamente minimali ed anzi, sono davvero piacevoli come estetica), ed una conta poligonale molto esigua.

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