The Serpent: la recensione

The Serpent è una miniserie con Tahar Rahim e Jenna Coleman che ricostruisce la vita del killer Charles Sobhraj

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The Serpent: la recensione

The Serpent era uno dei soprannomi del killer Charles Sobhraj, e oggi è anche il titolo della miniserie che ne racconta la vita. Si tratta di un prodotto che si inserisce nel filone delle storie sui killer, che tra serie tv e serie documentario stanno vivendo una certa fortuna negli ultimi anni. Trasmessa in originale sulla BBC e distribuita da noi su Netflix, The Serpent non spicca come un prodotto particolarmente caratteristico. Al di là della veridicità degli eventi, la costruzione dell'intreccio si basa su figure e momenti tipici di queste vicende. La particolarità più grande, allora, è il racconto della storia in ordine non lineare, una scelta che tuttavia in più di un momento penalizza il coinvolgimento.

Charles Sobhraj, interpretato qui da Tahar Rahim, compie i suoi crimini durante gli anni '70 in Asia. Tra Vietnam e Tailandia, ma anche Nepal, a fare le spese dei suoi atti di violenza sono soprattutto ingenui turisti e viaggiatori occidentali, spesso legati al movimento hippie. Charles approfitta della loro fiducia, fa loro del male, si appropria dei loro documenti e vende gemme rubate. Il tutto con la complicità della sua compagna canadese Marie-Andrée Leclerc (Jenna Coleman). La storia viene a galla nel momento in cui il diplomatico belga Herman Knippenberg (Billy Howle) inizia a indagare sulla scomparsa di due suoi connazionali. Da lì parte la ricerca che si trasforma in una caccia all'uomo.

Composto da otto episodi da cinquanta minuti circa, The Serpent è appesantito soprattutto nelle prime puntate da una narrazione non lineare. La storia salta spesso tra passato e presente, inserendo fino alla fine altri momenti e aprendo spiragli su altre storie. È tutto un continuo saltare da un momento all'altro nel tempo. Lo scopo è far dialogare la ricerca nel presente dei due belgi scomparsi con dei flashback che ne ricostruiscono la triste storia. Tuttavia anche questa scelta non dura a lungo e non ha quella coerenza che la riscatterebbe. Ci saranno altri flashback dedicati alla vita di altre vittime, o di complici, o dello stesso Charles nel finale. Così facendo, The Serpent tuttavia diluisce la tensione piuttosto che concentrarla.

Come in Mindhunter o Manhunt: Unabomber, la caccia è spronata da una figura buona e appassionata, protagonista ma non troppo nel momento in cui è la deviazione del criminale al centro di tutto. Tuttavia The Serpent non riesce sempre a trovare il bilanciamento perfetto tra le varie componenti o a capire la giusta angolazione dalla quale raccontare la serie. La tensione sarà palpabile solo in una scena specifica, Charles è un personaggio inquietante ma anche sfuggente come il suo soprannome lascia intendere. E lo stesso potremmo dire di Marie, a cui la scena lascia parecchio spazio, soprattutto nei suoi sguardi e nei suoi silenzi indecifrabili (forse troppo). Rimane un prodotto sostenuto dalle buone interpretazioni di Tahar Rahim e Jenna Coleman, ma che difficilmente lascerà il segno.

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