The Romanoffs 1x07 "End of the Line": la recensione

Le nostre impressioni sul miglior episodio stagionale di The Romanoffs

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Nobless oblige è un concetto che riguarda, letteralmente, le responsabilità insite nella nobiltà, che questa si riferisca al lignaggio o ad una presunta nobiltà d'animo. Chi ha di più, chi per fortuna o merito è in una posizione di vantaggio, deve assumersi degli obblighi rispetto a chi ha di meno. Questo concetto, così sottile nelle sue sfumature, è al centro del settimo episodio di The Romanoffs, intitolato End of the Line. Non era la puntata più attesa né quella con il cast di maggiore richiamo, ma si tratta senza dubbio del migliore episodio della serie visto finora. Una piccola gemma che riesce ad esaltare il proprio tema centrale tramite una scrittura calibrata e almeno tre ottimi interpreti.

Anka e Joe (Kathryn Hahn e Jay Ferguson) sono una coppia che vola fino in Russia per poter adottare una bambina. Accolti da Elena (Annet Mahendru, che ci riporta alla mente The Americans), si sottopongono di buon grado ad un procedimento che assume quasi la forma di un rituale. Ci sono doni da consegnare, formule da rispettare, lunghe attese. E c'è un latente senso di disagio che fa da contraltare alla frenesia per il momento del contatto con la neonata. Quando questo arriva, i due rimangono frastornati. Forse qualcosa non va, forse c'è qualcosa di non detto nella procedura di adozione, e all'interno della coppia iniziano a sorgere dei dubbi.

Per la prima volta The Romanoffs assume efficacemente un punto di vista più ampio rispetto alla storia che vuole narrare. Il paragone è chiaro nel momento in cui scopriamo che Anka è una discendente dei Romanov, e ci viene detto che questi si occupavano dei feriti durante la Prima Guerra Mondiale. Qui il riferimento alla famiglia reale serve solo a creare un contatto con i dirigenti della struttura dove si trovano i bambini, e le motivazioni della coppia sono ben altre. Ma ci dice qualcosa sul senso di responsabilità storico di chi ha di più nei confronti di chi ha di meno. E soprattutto sulla sincerità di un simile atteggiamento.

Anka e Joe sono bravissime persone, si amano e hanno molto amore da dare. Questo è chiaro. Ed è proprio per questo che, a differenza di Bright and High Circle, in cui riflessioni interessanti si scontravano con una storia che le sminuiva, qui c'è un conflitto molto stimolante. La neonata che la coppia dovrebbe adottare potrebbe avere qualcosa che non va. E qui esplode un conflitto fortissimo tra il pietismo verso una creatura senza colpe e l'egoismo, anche la frustrazione, di chi ha dato tutto, e vuole ottenere qualcosa di più. È probabilmente spiacevole utilizzare un gergo quasi da mercato parlando di adozione, ma la scrittura non si tira indietro. Non c'è politicamente corretto, non ci sono parole proibite, c'è solo sincerità (anche se rimane del non detto, almeno da una parte).

Non è confortante, non è piacevole, ma c'è uno scontro splendido tra i due, un momento brutale e straordinario su cui si impernia tutta la puntata. Nei momenti migliori, cioè quando passa dal particolare all'universale, si tratta di una puntata che ci spinge davvero a guardarci allo specchio, e a chiederci quanto c'è di vero in ogni gesto di generosità compiuto. Dalle questioni più irrilevanti alla domanda più pesante: diventare genitori, anche genitori biologici, è un gesto egoista?

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