The Red Strings Club: "Dōmo arigatō, Mr. Roboto" - Recensione

Un dramma psicologico travestito da avventura cyberpunk: la recensione di The Red Strings Club

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In un periodo di transizione come questo, durante il quale diversi studi indipendenti stanno sperimentando nuove formule narrative procedendo più o meno per sottrazione, gli sviluppatori spagnoli di Deconstructeam (ancora una volta pubblicati da quei cercatori d’oro di Devolver Digital) dopo l’esperienza di Gods Will Be Watching, concepito nel corso della jam Ludum Dare, tirano dritti per la loro strada con questo The Red Strings Club. Una strada che non asfalta del tutto le meccaniche delle avventure grafiche anni ottanta e novanta, ma semmai le costeggia cercando di rielaborarle e rinnovarle.

Più nello specifico, l'idea è che Deconstructeam utilizzi enigmi, puzzle e minigiochi vari non tanto per impostare sfide in senso stretto, ma semmai per intrecciarli col racconto e farne una sorta di sottotesto metaforico. Messa in questi termini potrebbe sembrare una roba pretenziosa da designer hipster che se la tira, ma l'obiettivo di The Red Strings Club è esattamente l’opposto. Il gioco prende una serie di concetti sofisticati, filosofici, persino controversi, e fa di tutto per semplificarli attraverso una serie di esempi empirici. Il questo senso, il titolo di Deconstructeam svela quasi una vocazione pedagogica.

A livello strutturale The Red Strings Club è un dramma interattivo/psicologico scritto col linguaggio delle avventure grafiche, disegnato in pixel art e ambientato - apparentemente - in un futuro distopico cyberpunk che sembra uscito dalla macchina da scrivere di Philip K. Dick. Grossomodo tutta la storia ruota attorno all’eponimo bar gestito da Donovan, barista dotato di capacità empatiche fuori dal comune che gli permettono di indovinare lo stato d’animo dei clienti che varcano la soglia del suo locale, e preparare loro dei cocktail ad hoc. Come nella migliore tradizione noir (vedi alla voce Casablanca) il club è anche un luogo di dissenso che ospita personaggi controversi e dove circolano informazioni riservate. Questo luogo così particolare diventerà suo malgrado lo snodo cruciale di un’avventura che porterà Donovan, assieme al suo compagno, l’hacker Brandeis, e all’androide Akara-184, a ostacolare un complicato piano di controllo sociale ordito dalla corporazione Supercontinent Ltd.

Eppure, quella che sulla carta sembrerebbe essere una distopia potrebbe passare addirittura per un’utopia, a seconda del sentire e delle scelte di chi gioca. A seconda dei punti di vista, insomma. The Red Strings Club in effetti non esprime giudizi o tesi nette. Dice la sua sulla morale, ma senza rompere le scatole o puntare i piedi, sempre in maniera piuttosto sfumata, al punto che non sempre tra le righe emergono le posizioni etiche degli autori (e tutto sommato è un bene).

Ogni responsabilità di giudizio viene lasciato nelle mani del giocatore, che attraverso una serie di indagini perlopiù dialogiche e un paio di minigame si troverà a riflettere su temi complessi che raramente trovano spazio nei videogiochi, e ancora più di rado espressi con tanta finezza. The Red Strings Club ragiona su temi universali come la meccanicità dei comportamenti umani e il valore del libero arbitrio, il desiderio di cambiamento sociale o il senso della paternità e del lascito.

Ma è anche un gioco ben piantato nel suo tempo, che si prende i suoi rischi attraverso una forte carica sociale. È un gioco che esplora il tema dell’omosessualità e dell’identità di genere, la liceità delle terapie farmacologiche nella cura dei disturbi mentali, il ruolo e i limiti del mercato (un personaggio arriva addirittura a insinuare che il marketing etico è una contraddizione in termini, in quanto inefficace nella pratica), coronando tutto quanto con una riflessione sul ruolo e sui carburanti dell’arte decisamente sensata e tutt’altro che banale.

[caption id="attachment_181794" align="aligncenter" width="1880"]The Red Strinsgs Club screenshot I dialoghi e le meccaniche più strettamente legate all'indagine sono davvero eccellenti, per non parlare della pixel art e dei colori che definiscono artisticamente il gioco[/caption]

Il grosso dell’indagine di Donovan e compari viene condotto attraverso l’utilizzo di un sistema di dialoghi scritti davvero bene (e Dio sa quanto sia difficile costruire delle chiacchierate interattive anche solo decenti), affiancato da minigame che sottolineano il valore di questo o quel concetto attraverso la sperimentazione diretta.

È evidente che per i ragazzi di Deconstructeam il giocare è inteso come pratica di comunicazione sublime, e in questo senso lo studio aderisce completamente – e probabilmente non è un caso – alla filosofia del game designer Chris Crawford esposta con molta chiarezza nel suo celebre The Dragon Speech. Nel discorso che scaldò la Game Developers Conference 1992, Crawford tra le altre cose riflette sull’importanza del gioco in seno alle meccaniche di apprendimento, con quel meraviglioso esempio dei giovani felini che imparano a stare al mondo letteralmente giocando. Alla stessa maniera, The Red Strings Club tenta di indirizzare le riflessioni del giocatore verso alcune tematiche chiave che definisco la società e la natura umana.

"The Red Strinsgs Club è un gioco ben piantato nel suo tempo, che si prende i suoi rischi attraverso una forte carica sociale"Idea lodevole e coraggiosa, se non fosse che i minigiochi, per quanto centrati in termini di concept, non sempre funzionano a dovere, o comunque non riescono a tenere testa alla qualità della scrittura e alle parti di hacking (mutuate da un precedente lavoro dello studio: Supercontinent Ltd, scaricabile gratuitamente da itch.io). In particolare quello legato ai cocktail, nonostante sia interessante in termini di meccaniche e coerente con la storia, è un filo debole. L’idea di imparare a creare bevande pasticciando con ingredienti e dosaggi per interferire con lo spettro emotivo dei clienti del bar è buona, non si può dire lo stesso dell’interfaccia capricciosa con cui è stata messa in pratica. Anche le soluzioni stilistiche paiono un po’ fuori fuoco, quasi cheap; soprattutto se paragonate alla pixel art di prima qualità e alla gamma cromatica che avvolgono il resto del gioco.

Le cose vanno un po’ meglio sul fronte della parte introduttiva, laddove nei panni di Akara-184 il giocatore è chiamato a plasmare dei moduli che influenzano il carattere delle persone: una sorta di versione high-tech degli psicofarmaci. Anche in questo caso lo studio ha integrato una sua esperienza precedente: Zen and the Art of Transhumanism (pure disponibile su itch.io), tanto per non buttare via materiale prezioso.

[caption id="attachment_181795" align="aligncenter" width="1920"]The Red Strinsgs Club screenshot Nonostante siano ingegnosi e coerenti a livello di concept, i minigiochi presenti in The Red Strings Club peccano un po' per interfaccia e stile[/caption]

Al netto di questi difetti, The Red Strings Club resta comunque un’opera originale, coraggiosa e assolutamente da provare, magari addirittura attraverso due o tre run - il gioco è piuttosto veloce da sbrigare - per esplorare le diverse diramazioni dialogiche, per cogliere le varie citazioni presenti (bellissima quella da Metal Gear Solid 2) o anche solo per riascoltare le splendide musiche à la Blade Runner. E poi, chiaramente, c’è la storia: scritta da Dio, piena di idee, con personaggi vivi e ben costruiti. Una storia che alla fine lascia addosso la sensazione di essere usciti da una seduta di psicoanalisi (o da un test Voight-Kampff).

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