Jouer avec le feu (The Quiet Son), la recensione: Vincent Lindon dirotta un film
Una storia di figli che sfuggono al controllo paterno, di neofascismo e preoccupazioni in The Quiet Son è dirottata dal suo protagonista che la trasforma in una storia d'amore
Lo spunto di The Quiet Son, a ben pensarci, è di quelli tipici del cinema italiano: un padre, ex sindacalista, che, dopo la morte della moglie, cresce da solo due figli maschi ormai più che adolescenti. Uno dei due inizia a frequentare un giro di estremisti di destra. La differenza in questo film rispetto all'esito classico di un film italiano, sta nel fatto che questa trama è, in fondo, marginale. Il film la sviluppa con correttezza, ma non la pone quasi mai in primo piano. Ciò che fonda The Quiet Son è il rapporto tra questi tre uomini senza donne, guidato dal padre nella storia e da Vincent Lindon sul set (che quel padre lo interpreta).
Questo film, decisamente maschile, è scritto e diretto da due donne, Delphine e Muriel Coulin (avevano già scritto e diretto il bel 17 ragazze), e si fonda sullo sguardo di Lindon. The Quiet Son non avrebbe alcun senso senza un attore capace di comunicare tanto amore attraverso il modo in cui guarda i suoi figli, sia nei momenti ordinari che in quelli più significativi. Lindon esprime un’ampia gamma di sguardi pieni d'amore, senza mai perdere di vista il suo ruolo di padre tutto d’un pezzo, che negli anni ha dovuto assumere anche la funzione di madre per i due ragazzi. Il trio di uomini che vivono insieme, mangiano, giocano in giardino e vanno allo stadio, sempre insieme, è un piacere da osservare.