The Punisher (prima stagione): la recensione

Con The Punisher l'universo Marvel su Netflix riprende slancio: una serie violenta e centrata sui personaggi

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Sangue e violenza nell'esordio della Fase 2 del Marvel Netflix Universe. E punizione, inesorabile e furiosa, contro tutto e tutti. Il teschio bianco di The Punisher torna ad imbrattarsi di rosso dopo l'apparizione del personaggio nella seconda stagione di Daredevil. Lo fa in una stagione interamente focalizzata su Frank Castle e sulle motivazioni alla base della sua vendetta. Abbiamo avuto la possibilità di vedere in anteprima l'intera stagione della nuova serie Netflix, e il riscontro è senza dubbio positivo. Nonostante qualche incertezza nelle prime puntate, questo è uno show che torna alle radici dell'universo televisivo cui appartiene, esaltandone caratteri e caratteristiche, senza compromessi.

Dopo gli eventi della seconda stagione di Daredevil, Frank Castle (Jon Bernthal) tiene un profilo basso, sopravvivendo giorno per giorno, scacciando il peso tremendo della morte della sua famiglia. Inevitabilmente, qualcosa lo costringe a rimettersi in azione, una cospirazione che lega il suo passato sotto le armi ad un presente oscuro. L'animale solitario esce dalla sua tana, e sul suo percorso incontra alleati inattesi, vecchie conoscenze come Karen Page, nemici spietati. Il sangue scorre a fiumi mentre il fantasma del Punitore si rivela tremendamente concreto tanto per i pochi amici quanto per i molti nemici. Di più sulla trama non si può dire, se non che nel cast troviamo Ben Barnes nei panni di Billy Russo, migliore amico di Frank nell'esercito, Ebon Moss-Bachrach come Micro, analista alleato del protagonista, e Amber Rose Evah come Dina Madani, agente dei servizi segreti.

Nel corso delle stagioni il Marvel Netflix Universe è scivolato, lentamente, verso un certo appiattimento della narrazione e dei suoi personaggi su stilemi presi dal cinema dei supereroi. Ancora Luke Cage – con tutti i suoi limiti – riusciva a mantenere intatto un approccio tematico, ma già il pessimo Iron Fist di Scott Buck (stesso showrunner di Inhumans) si perdeva nell'anonimato. Defenders, pur raddrizzando il tiro e portando a casa il risultato, cadeva nello stesso tranello. Ciò che invece ha affascinato fin da subito, sia nella prima stagione di Daredevil che in Jessica Jones, era la capacità di questo universo di decostruire la materia per raccontarla con un proprio linguaggio. Brutale, violento, poco conciliante. The Punisher riparte da qui.

Lo show di Steve Lightfoot appartiene all'universo dei supereroi solo incidentalmente, e vedremo come, ma il suo stile trae forza da altre storie. Per fare un paragone, se i moderni prodotti di supereroi sono in fondo un aggiornamento dei modelli action di decenni fa, The Punisher aderisce maggiormente all'iconografia del Giustiziere della notte o del primo Rambo. Lo fa stringendo la camera sull'ossessione e sull'inevitabilità di questa, sulla vendetta come fuga della mente e necessità di un corpo che brama della carne. Quasi sta stretta a Frank Castle una doppia identità, perché inesistente è il confine tra il Punitore e l'uomo che ne indossa il costume. In questo senso la battaglia del personaggio è profondamente interiorizzata, non esiste come ideale di giustizia così come per il personaggio non esiste la pietà.

La serie comprende bene la specificità del personaggio, e riassembla tutto il resto in funzione di essa. Se l'ambiente deve essere un prodotto del protagonista, questo diventa un mondo di reduci, di personaggi, buoni o cattivi, vittime o carnefici, che non sono mai tornati veramente dalla guerra. Non c'è redenzione, come Frank Castle diceva a Daredevil tanto tempo fa, solo punizione. E quando questa arriva, la serie non si tira indietro. The Punisher è una serie molto violenta nella misura in cui deve assolutamente esserlo, senza cercare simpatie inutili nello spettatore, senza alleggerire il colpo. Se Frank Castle non può essere un personaggio positivo, quantomeno deve essere coerente, e anche qui la serie lo capisce bene.

A livello di mancanze, dopo la più breve parentesi di Defenders ancora una volta qui ci troviamo di fronte a tredici episodi da circa un'ora. Sembra una formula più imposta che cercata e, anche se la serie gestisce meglio di altre il tempo a disposizione, il minutaggio appare comunque eccessivo. Lo è soprattutto nei primi quattro-cinque episodi, mentre da metà stagione in poi la serie trova un suo equilibrio e scorre più facilmente. Avremmo anche gradito una maggiore conflittualità nei villain che o ne sono privi o non sono abbastanza approfonditi. Jon Bernthal interpreta con animalesca brutalità il ruolo, ed è credibile. Karen Page rimane il solito personaggio respingente che fatichiamo a prendere sul serio. Funzionano meglio i personaggi di contorno positivi, che crescono nel corso della stagione e hanno una loro tridimensionalità. Prendendo questa stagione come punto fermo, si può costruire una buona Fase 2 per il Marvel Netflix Universe.

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