The Protégé, la recensione

Nella più scontata delle trame The Protege non riesce a trovare mai un film decente, anche se al timone c'è Martin Campbell

Critico e giornalista cinematografico


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The Protégé, la recensione

Un assassino a pagamento durante una missione trova e salva una bambina vietnamita che negli anni addestra a diventare una killer implacabile. Yawn! Da adulta lei lavora con lui, ormai anziano, fino a che qualcuno non decide di farlo fuori in un misterioso attentato e non le rimane che mettersi alla caccia dei responsabili. Yaaaaawn!

Con il senno di poi possiamo dire senza timore di sbagliare che prendere un regista eccezionale come Martin Campbell e affidargli una sceneggiatura di Richard Wenk tra le peggio scritte della sua già spaventosa carriera (iniziata con il gioiellino Solo 2 ore ma poi proseguita con un Greatest Hits della scrittura sconfortante da I mercenari 2 a I magnifici 7), è stata probabilmente una decisione sventurata.

Nondimeno The Protégé è stato girato, il che significa che Maggie Q e Samuel L. Jackson hanno recitato uno dei più risibili rapporti mentore/allieva e, da un certo punto in poi, addirittura Michael Keaton è stato preso in una di quelle situazioni in cui i paradossi e l’implausibilità sì gonfiano di minuto in minuto. E l’ha dovuta recitare! Amante e combattente di 70 anni che picchia alla pari una killer di 40 anni, non sapendo se baciarla o spararla, arguto senza un vero perché, cattivo ma buono ma cattivo. Che fatica!

E poco ci può fare Martin Campbell se non mettersi lì e utilizzare la sua maestria per dare ritmo e decenza a tutto questo. L’azione è infatti buona, eccezionale addirittura quando si tratta di mettere in armonia Michael Keaton e la sua controfigura come fossero la stessa persona, ma The Protégé è il genere di film che richiede una volontà di ferro da parte degli spettatori per immergersi nelle sue assurdità e che, anche volendo farlo, poi non regala tanta soddisfazione. La parabola va a terminare in luoghi non più interessanti o sorprendenti di quelli in cui è cominciata e l’ambientazione (a tratti) vietnamita non è mai usata.

Il peccato vero è che con questo cast, questa regia e queste intenzioni si poteva fare la moderna di un film con Cynthia Rothrock, molto spiccio, un po’ sopra le righe ma onesto come è nelle corde di Campbell. Maggie Q ha quel fisico asciutto e quel tipo di credibilità. Invece la scrittura è così spaventata all’idea che non si capisca che la protagonista è una dura da farlo dire a tutti e farglielo dimostrare di continuo, si sente così in dovere di creare “un personaggio sfaccettato” da darle poi tutto un lato da venditrice di libri antichi con tazza di tè di porcellana in libreria (!!). Così è un film con action heroine scritto perché la cosa va di moda e non perché qualcuno ha avuto un’idea interessante.

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