The Program, la recensione

Troppo rapido, troppo superficiale, troppo concentrato sui personaggi e non sui fatti, The program fallisce proprio nel terreno in cui decide di misurarsi

Critico e giornalista cinematografico


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È senza dubbio uno dei migliori "creatori di mondi" che ci siano Stephen Frears. Non ha la fantasia malata di Terry Gilliam ma ama, mantenere i piedi per terra lui, eppure i due si somigliano più di quanto non si potrebbe credere, entrambi hanno la capacità di ordire una messa in scena di diabolica precisione, così perfetta, coerente e inattaccabile da fornire l'impressione di aver girato un documentario all'interno del mondo che invece hanno creato da zero. Frears ricrea luoghi possibili, ambienti reali e interazioni plausibili, non inventa niente (in teoria) ma ricostruisce il reale, eppure questo suo "falso" è reso credibile dallo scorrere degli eventi. Non sono quindi i suoi quadretti a stupire ma la maniera in cui il flusso del racconto rende invisibili le maschere, il trucco, la scenografia, il montaggio e tutto quello che di finto esiste nel cinema.Mancanza di storia, mancanza di retroscena ma anche mancanza di dettaglio

Proprio per questo motivo The Program è un film non riuscito. Ci fosse stato qualsiasi altro autore dietro l'avremmo definita un'opera buona ma per Frears è un fallimento. La storia di Lance Armstrong è molto complicata, molto più della semplice idea di un idolo che sale e scende nell'opinione pubblica e la corsa di The Program (che ritmo incredibile che ha il film!) è un rullo che schiaccia troppo. Ogni ricostruzione della realtà per sua natura si concentra su qualcosa e omette qualcos'altro, l'arte sta tutta nell'evitare che il pubblico se ne accorga. Invece in The Program troppe sono le domande che rimangono senza risposte, troppe sono le svolte che appaiono opache e si sente un'eccessiva "mancanza". Mancanza di storia, mancanza di retroscena ma anche mancanza di dettaglio.

I circa 10 anni in cui Lance Armstrong ha vinto, barato e minacciato, sono percorsi ad altissima velocità, sorvolando su tutto. Come in un lampo, come fossimo nella testa stessa di Armstrong, vediamo tutto scorrere in fretta, non si ha il tempo di afferrare niente. Come faceva ad evitare i controlli? Come mai ha deciso di tornare quando ormai l'aveva scampata? Come ha vissuto il fatto di essere stato beccato? Quasi nulla di tutto questo c'è nel film, eppure sono gli stessi interrogativi che lo Frears non può fare a meno di sollevare. Prima li stimola e poi li frustra, insoddisfa e lascia con l'amaro in bocca, nonostante la solita impeccabile messa in scena.

Il vero fallimento di The Program sta nel non essere all'altezza delle sue stesse aspettative. Viene allora sorpassato a destra da The Armostrong Lie, il documentario di Alex Gibney che invece è proprio su tutto questo che si sofferma, con più perspicacia artistica e senso della narrazione del cinema di finzione.

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