The Prodigy - Il Figlio Del Male, la recensione
Il classico filone del bambino posseduto (stavolta da un simil-Bob di Twin Peaks) diventa in The Prodigy un naufragio di buone intenzioni e pessimo cinema
C’è un demone che incarna diversi uomini e che ora vive dentro un bambino, il quale gradualmente dimostra segni di meschinità, insofferenza, cattiveria e omicidio. I genitori se ne accorgono e cominciano a portarlo da medici e ipnotisti fino a scoprire la verità. Sembra una trama da L’Innocenza Del Diavolo incontra Bob di Twin Peaks, invece è un film che vorrebbe essere morale ma riesce solo a mostrare una buona perversione riguardo al dolore (che è oro per questo genere).
Spaventato all’idea di non spaventare il film di Nicholas McCarthy (che, va detto, davvero non è il tipo di produzione che viene aiutato dal doppiaggio e dal doppiaggese) impenna la colonna sonora sulle sue frasi più inquietanti (così scontate e poco efficaci da sembrare prese dal manuale delle frasi inquietanti) con il solo risultato di attutirne la potenza e avvicinarsi alla parodia di se stesso, ha un’idea senza senso di elite e intellettuali (la scuola privata è grottesca, la musica classica e il cubo di rubik sono il segno dell’intelligenza, mancano solo gli scacchi).