The Persistence, quando gli zombie sono meno terrificanti della permadeath – Recensione

Un roguelike sci-fi, in realtà virtuale, ambientato in una stazione spaziale: la recensione The Persistence

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


Condividi

Dead Space. Uno, due minuti al massimo in compagnia di The Persistence e il ricordo, appassionato e nostalgico della serie targata Electronic Arts, sovviene quasi in automatico, istituendo sin da subito un paragone importante, pesante, rilevante, che in qualche modo si staglia come una spada di Damocle sul capo della creatura di Firesprite, caricando immediatamente l’esperienza di aspettative gigantesche, esorbitanti, per molti versi ingiustificate.

Il cuore, tuttavia, segue regole tutte sue, regole tutt’altro che razionali e comprensibili. Ci sta, insomma, che trovandoci in un punto indefinito dell’universo, prigionieri in una stazione spaziale infestata da fameliche creature, a due passi da un gigantesco buco nero, la mente corra all’indimenticabile Dead Space.

Del resto, parliamo pur sempre di un horror in salsa sci-fi, che ci spinge, come appena suggerito, a sopravvivere ad un orrore ordito ad arte da una tecnologia concepita per fini nobili, sfortunatamente sfuggita al controllo.

[caption id="attachment_187874" align="aligncenter" width="1000"]The Persistence screenshot Se soffrite di motion sickness potreste faticare a godervi appieno The Persistence. Nonostante ciò gli sviluppatori hanno ideato tre diversi sistemi di deambulazione dell’avatar per venire incontro il più possibile alle esigenze di qualsiasi videogiocatore[/caption]

Il grande pregio di The Persistence, che si materializza sin nelle sue premesse, è la granitica coerenza della trama, tale da giustificare le meccaniche ludiche che affondano le proprie radici nel genere dei roguelike. Zimri Eder, ufficiale della sicurezza di una nave spaziale in viaggio verso un mondo da colonizzare, è morta, così come tutto il resto dell’equipaggio a bordo. La sua coscienza, tuttavia, persiste, per l’appunto, ridotta ad un file che può essere tranquillamente copiato in un corpo sintetico creato, in pochi passaggi, da speciali marchingegni, capaci di creare cloni senza sosta. La stessa tecnologia che vi permette di tornare in vita, game over dopo game over beninteso, ha sfortunatamente dato vita anche ad una miriade di abomini che ora vagano per la stazione, in perenne cerca di carne fresca da mettere sotto i denti."Gli sceneggiatori di The Persistence sono riusciti a spiegare e rendere accettabile la permadeath e il continuo cambiamento della mappa, capisaldi, come sappiamo, del genere dei roguelike"

Guidati da un’intelligenza artificiale dalla voce costantemente rilassata, dovrete quindi interrompere la produzione di questi esseri, in tutto simili a zombie, cercando al contempo di allontanare la struttura fluttuante dal vicino buco nero, fenomeno naturale che causa l’oscillazione dello spazio-tempo, incentivando il continuo e costante ricompattamento dello scenario in moduli simili, ma di fatto sempre diversi.

In poche parole, gli sceneggiatori di The Persistence sono riusciti a spiegare e rendere accettabile la permadeath e il continuo cambiamento della mappa, capisaldi, come sappiamo, del genere dei roguelike.

PlayStation VR ben saldo in testa, dovrete quindi esplorare una stanza dopo l’altra, al fine di disattivare i terminali che controllano la produzione delle creature assetate di sangue che vi daranno costantemente la caccia.

Sebbene un approccio sfrontato e temerario sia consentito, il gioco fa di tutto per scoraggiarlo. Tanto per cominciare bastano pochi danni subiti per veder capitolare la povera Zimri. Inoltre, sebbene le armi a disposizione sono relativamente molte, farete non poca fatica a reperire munizioni e nuclei energetici per rifornirle. Non ultimo, il già citato spauracchio della permadeath, eventualità che vi costringerà a ricominciare praticamente da capo ogni volta.

Fortunatamente non tutto andrà perduto. Pur dovendo dire addio agli oggetti raccolti e a buona parte dei progressi raggiunti, le statistiche, potenziate tramite specifici terminali sparsi per l’ambientazione, non si resetteranno, permettendovi di reincarnarvi in avatar di fatto più forti e pronti al compito da svolgere.

Molto meglio, in questo senso, agire nell’ombra, cercare in tutti i modi di sorprendere alle spalle i propri nemici, tecnica utilissima anche per estirpargli dalla corteccia celebrale preziose cellule staminali, punti esperienza da sacrificare per potenziare l’avatar.

“Dentro” il PlayStation VR, una volta accettata la filosofia del gioco, si vivono momenti carichi di tensione, paura, adrenalina. Ad ogni rumore, a comprovare un lavoro di sound design meritevole di ogni plauso, si sussulta, si tentenna, ci si stringe il petto a causa un piccolo mancamento. Vista la relativa fragilità della protagonista si procede lentamente, a piccoli passi, controllando costantemente la presenza di ombre o altri segni che possano rivelare la presenza di nemici.

Gli zombie, va detto, non sono mossi da un’I.A. particolarmente brillante, ma tra semplici corpi mutilati erranti, giganteschi cumuli di carne che si lanceranno a perdifiato nella vostra direzione e snelli figli di buona donna che cercheranno costantemente di prendervi alle spalle, dovrete fronteggiare ostacoli che di volta in volta assumeranno volti diversi, costringendovi a vagliare diverse strategie e tattiche per salvare la pelle.

Purtroppo, la natura da roguelike fa sì che l’esperienza mostri il fianco a qualche critica per quanto concerne art e level design. Ripetitivo il primo, poco propositivo il secondo, in combinazione rendono l’esplorazione della stazione spaziale sul lungo periodo ripetitiva e poco stimolante. Ogni stanza riproporrà gli stessi elementi architettonici, omogenee soluzioni di design, persino una disposizione simile di terminali, munizioni, nemici.

[caption id="attachment_187875" align="aligncenter" width="1000"]The Persistence screenshot Completando una prima volta la Campagna, sbloccherete la modalità Sopravvivenza che impone un numero massimo di respawn[/caption]

Eppure ci si diverte alla grande ugualmente, a patto di non soffrire troppo la motion sickeness e ovviamente di avere una naturale predisposizione all’horror. The Persistence non è per i deboli di cuore e utilizza tutti gli espedienti del caso per spaventare l’utente, per incutergli timore e per farlo sentire costantemente alle prese con nemici che possono eliminarlo facilmente.

Morire, del resto, non è poi così difficile, sebbene la presenza di diversi checkpoint, e la progressiva esperienza che accumulerete, evitano che la permadeath finisca per rendere frustrante ed eccessivamente ripetitiva l’epopea di Zimri.

Graficamente all’altezza delle aspettative, nonostante sul modello classico di PlayStation 4 si lamenti un eccessivo aliasing in certe situazioni, The Persistence è attualmente uno dei migliori prodotti disponibili da godersi interamente ed esclusivamente su PlayStation VR. Longevo, vi serviranno almeno dieci ore per giungere ai titoli di coda, appassionante e terrificante al punto giusto, offre un’avventura a suo modo originale ed avvincente grazie ad una trama prevedibile, ma ben scritta. Non aspettatevi un minuzioso e ricercato level design, naturalmente, ma come roguelike in salsa sci-fi la creatura di Firesprite se la cava più che egregiamente. Non sarà il nuovo Dead Space, ma vi garantiamo che quest’avventura saprà ugualmente terrorizzarvi e divertirvi.

Continua a leggere su BadTaste