The Perfect Candidate, la recensione | Venezia 76

Incentrato sulla campagna elettorale di una dottoressa saudita, The Perfect Candidate di Haifaa Al Mansour riflette su un paese che sta cambiando

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In apertura di un'edizione del Festival di Venezia non scevra da polemiche sulla scia del movimento MeToo, la presenza di un film come The Perfect Candidate della cineasta saudita Haifaa Al Mansour (Mary Shelley, La Bicicletta Verde) spicca con la brillante sagacia di una strizzata d'occhio. Al centro della commedia drammatica troviamo Maryam (Mila Al Zahrani), una giovane dottoressa che ogni giorno si trova costretta a percorrere una strada fangosa per raggiungere l'ospedale dove lavora.

Come già avvenuto due anni fa con L'Insulto di Ziad Doueiri, un caso quasi privato assurge ben presto a questione politica, ponendo la ragazza quasi per caso nella posizione di candidata al Consiglio Municipale. È con occhio bonariamente divertito che seguiamo le peripezie di Maryam, vessata in realtà da una burocrazia che è atroce specchio di un retrogrado maschilismo di stato.

Girato interamente a Riyadh, il film di Al Mansour non ha - a dispetto delle apparenze - la pretesa di ergersi a manifesto femminista: il programma politico di Maryam prescinde dal suo sesso d'appartenenza, e lo sguardo della regista ci descrive un paese che, seppur ancorato a un retaggio che definiremo eufemisticamente tradizionalista, sta vivendo un cambiamento. Non è un caso che la prima inquadratura di The Perfect Candidate ci mostri la protagonista mentre guida la propria auto (possibilità preclusa a tutte le donne saudite fino al 2018).

E non è certo un caso nemmeno la scelta di dare a Maryam un padre cantante, stressato da un contesto sociale ancora in parte sospettoso verso le arti musicali e dal dover crescere da solo tre figlie femmine che dimostrano, ognuna a modo proprio, un'indole piuttosto indomita. Non senza notevoli preoccupazioni, l'uomo parte per un tour assieme alla propria band, offrendo allo spettatore un ulteriore esempio della graduale liberalizzazione del paese.

In assenza del padre, la sorella maggiore decide di aiutare Maryam con l'improvvisata campagna elettorale; non c'è però solo solidarietà familiare - e femminile - nel film di Al Mansour, poiché a supporto della dottoressa accorre anche un ragazzo il cui nonno è stato salvato dalle cure della protagonista, nonostante il suo rabbioso rifiuto di essere toccato da una donna.

Sarà proprio l'uomo a chiudere simbolicamente il film, esternando a Maryam il proprio mutato punto di vista e riconoscendole i meriti fino ad allora ottusamente negati; impossibile non identificare, in questo burbero anziano costretto ad ammettere i propri errori, il volto di una nazione irrimediabilmente volta al cambiamento, seppur zavorrata da un'anacronistica misoginia che per certi versi, lo sottolinea il film di Al Mansour, sembra davvero dura a morire.

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