The Penguin, la recensione: l'ascesa al potere di Oswald Cobblepot ammalia con il suo tono maturo e crudo

La recensione di The Penguin, serie televisiva targata HBO che racconta l'ascesa al potere di Oswald Cobblepot

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Death or Glory

Dopo ogni evento drammatico, ci viene offerta la possibilità di ripartire. Sta a noi decidere come sfruttare l’opportunità. Gotham City è stata travolta da un'inondazione che ha creato il caos, ucciso centinaia di persone e isolato interi quartieri. La brava gente è scesa in strada per dare il proprio contributo alla comunità; gli altri, gli sciacalli, invece, si sono messi all'opera per approfittare della confusione. Tra quest'ultimi, si muove con andatura goffa ma decisa Oswald “Oz” Cobblepot (Colin Farrell), una delle tante figure che popola il sottobosco criminale della città. Adesso che la reggenza della famiglia Falcone è a rischio - il patriarca, Carmine (John Turturro), è morto e suo figlio Alberto (Michael Zegen) potrebbe non essere pronto a succedergli - si sono creati i presupposti per tentare il tutto per tutto e provare a diventare il nuovo re della criminalità organizzata.

Il Pinguino

È questo l'incipit di The Penguin, nuova serie HBO dedicata allo storico rivale di Batman dal 19 settembre su Sky. Partendo proprio dal finale del film diretto da Matt Reeves - qui nel ruolo di produttore esecutivo -, seguiamo l’epopea di Oswald, pronto a sfidare la diffidenza e le risate che da sempre accompagnano la sua esistenza. Nonostante negli anni abbia dimostrato la sua lealtà ai Falcone, nessuno crede in lui: non Johnny Viti (Michael Kelly) o Milos (James Madio), luogotenenti dei Falcone, né Luca Falcone (Scott Cohen), fratello del boss; per non parlare di Sal Maroni (Clancy Brown), capo del clan avversario, rinchiuso nel carcere Blackgate ma sempre determinante per gli equilibri della città. A rendere il tutto ancora più incerto, aggiungiamo il ritorno sulla scena di Sofia Falcone (Cristin Milioti): una scheggia impazzita pronta a giocare le sue carte.

Nella mente criminale

Il centro focale del racconto è Cobblepot: Farrell porta in scena brillantemente la vicenda umana e criminale del protagonista, una figura che sfrutta la sua incredibile forza di volontà per imporre ciò che desidera di più: essere amato. A ben vedere, The Penguin è una storia d’amore: amore verso il proprio genitore, verso i figli o loro surrogati - in tal senso, è avvincente il rapporto che Oswald crea con il giovane teppistello di strada Victor Aguilar (Rhenzy Feliz) -, verso la famiglia e le proprie radici; spesso, si tratta di un amore malato, perverso, tossico che porta a vedere tutto in maniera distorta.

Il viaggio tra le menti criminali di Gotham è tortuoso e, grazie ai vari flashback presenti, scopriamo il vissuto dei vari comprimari, cercando di comprenderne - davvero? - le azioni: ma si possono cogliere tutte le sfumature di una persona che ha architettato fratricidi, tradimenti, o impartito morte? Potremmo mai avvicinarci alla sofferenza per le perdite di Victor o alla lucida follia di Sofia? Potremmo mai identificarci in Francis Cobblepot (Deirdee O’Connell), la madre di Oz, donna autoritaria, che ha condizionato la vita del proprio figlio? No, non possiamo. Spettatori. Ecco cosa siamo. Spettatori di una tragedia senza fine, di una scalata verso l’alto che, in realtà, è una caduta verso gli inferi. Senza possibilità di redenzione.

Paint It Black

La showrunner Lauren LeFranc afferra il sogno americano, lo stravolge e lo dipinge con toni oscuri. Non ci sono eroi né cattivi: tutti sono marci, tutti sono colpevoli e i pochi spiragli di salvazione vengono brutalmente cancellati da comportamenti immorali, riprovevoli. Il male striscia per i quartieri di Gotham, si nasconde tra le macerie, tra i palazzi lussuosi e avvelena tutto e tutti. Nel proprio cammino, ogni personaggio si muove con determinazione, alla ricerca di un po’ di pace, libertà (“Voglio essere libera” dice una ormai stremata Sofia sul finale). Purtroppo, sono tutti condannati a condurre una vita di infelicità, in cui la ricerca di una via d’uscita è destinata a fallire miseramente.

Il cast

Oltre a una storia solida, The Penguin può vantare un cast di assoluto valore: ognuno degli attori coinvolti riesce a lasciare il segno sul piccolo schermo, delineando figure di grande spessore, riconoscibili. Su tutti, spicca un Farrell magistrale nel ruolo di uomo combattuto, violento, machiavellico, sempre attento alla sua eleganza pacchiana e alla sua Maserati viola. L’interpretazione dell’attore irlandese è molto vicina a quella iconica di Danny DeVito in Batman Returns, ma resa più personale grazie ai toni più crudi del serial.

Magnetiche sono anche le prove di una Milioti ispirata, a suo agio nei panni della sensuale e pazza Sofia; di una O’Connell centrata e mai sopra le righe nella parte della brutale madre di Oz; e di Feliz, impacciata spalla di Oswald.

Conclusioni

La scelta di affidare la costruzione di un villain degno di nota a una serie televisiva risulta vincente: si è riusciti a dare tridimensionalità a una figura ambigua, a tratti viscida, ma pronta a rubare la scena al Cavaliere Oscuro.

The Penguin è uno spin-off che brilla di luce propria, una storia torbida in cui i demoni interiori emergono in tutta la loro brutalità e alimentano la sete di vendetta dei protagonisti. La narrazione è matura, serrata e lungo le otto puntate di cui si compone il serial non abbiamo registrato alcun passaggio a vuoto o abbassamento di tensione: scene action si alternano a dialoghi di grande impatto, in un’alternanza di ritmi e toni in grado di mantenere sempre vivo l’interesse verso questo noir.

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