The Order, la recensione: Jude Law prende il comando e salva il film

Non ci sarebbe stata speranza per The Order se fosse stata solo una storia di indagine sui suprematisti bianchi con collegamenti all'attualità

Critico e giornalista cinematografico


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Nelle storie di indagini, il profilo del detective è quasi più importante di quello della preda o dei criminali su cui si indaga. Chi è? Come opera? Quale codice segue? Cosa ha nel suo passato e come questo si collega al caso? Per questo stupisce come per moltissimo tempo The Order non indaghi il suo detective, caratterizzato benissimo da Jude Law, che un passato ingombrante lo ha palesemente: è stato mandato in una zona remota per “darsi una calmata”, ha eccessi di rabbia e una dedizione esagerata, è insofferente all’autorità e brutale con le reclute. Eppure, quando sapremo cosa lo ha spinto lì, non importerà più, non sarà più determinante, perché il film ha lasciato il grosso dell’illustrazione di questo poliziotto ruvido e baffone a Jude Law e lui, lavorando solo di linguaggio del corpo, l’ha resa meglio di qualsiasi backstory.

È un po’ tutto così The Order, un film che funziona tantissimo per il suo meccanismo più che per la sua trama (tratta da una storia vera) di caccia alla frangia violenta e terrorista (con velleità di colpo di stato armato) di una setta di suprematisti bianchi, guidati da un reverendo che predica la pulizia etnica attraverso una strada politica. Lui è il Martin Luther King di questa setta, che ha il suo Malcolm X (cioè il suo rivoluzionario violento) in Nicholas Hoult. Il primo non ha infranto nessuna legge; semmai ha coltivato una comunità in cui si è formato il secondo, che ora rapina banche per finanziare la sua rivoluzione.

Ma, per l’appunto, se The Order funziona e conquista (e lo fa bene!) è per il suo congegno, per la sua ambientazione montana e umida, in cui non si fa fatica a collocare sia il male, sia l’ignavia dello sceriffo, e quindi la foga della recluta che si attacca a Jude Law. Preda e cacciatori sono due specchi dello stesso atteggiamento: anche il poliziotto di Jude Law attira, affascina e comanda la recluta Tye Sheridan, come Nicholas Hoult fa con la sua milizia. Anche lui manipola, anche lui impone la sua legge e la sua dedizione al risultato al ragazzo. E forse questa è la parte che più ci fa conoscere il personaggio, la sua strana affinità con i suprematisti che odia.

Per il resto The Order (ad oggi, molto facilmente il miglior film di Justin Kurzel) si capisce che nasceva per commentare l'attualità (l'ultima riga dell'ultimo cartello alla fine del film lo svela) e si trae d'impaccio diventando un film autonomo grazie alle maniere in cui ricalca Point Break. Pur non essendo fondato su un rapporto sentimentale nascosto tra infiltrato e preda come quel film lì, è chiaro che The Order prende scene, ritmo, scansione degli eventi e modalità di messa in scena delle rapine dal film di Kathryn Bigelow. Non è una sua trovata ma almeno oltre a replicare la tensione di quel film, riesce a mettere in scena bene la medesima idea di poliziesco: quella in cui, in fondo, polizia e criminali hanno morali diverse, ma non sono poi così lontani.

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