The Office Australia, la recensione: più che un remake un noioso déjà-vu
The Office Australia è un prodotto anonimo che spreca tutte le occasioni offerte dal cambio di ambientazione e si accontenta di scimmiottare la versione americana.
Davanti a The Office Australia è impossibile non farsi la domanda: per chi è pensata questa serie? Il pubblico ipotizzato è un pubblico che ha visto The Office Usa (2005-2013) oppure no? Di solito la ratio dei remake nazionali è esportare un format di successo in un paese che non conosce l’originale (o in questo caso il remake più famoso, che di fatto funge da originale). Questo è chiaramente impossibile nel caso di The Office Australia, ben 15o remake, pensato per un paese di madrelingua inglese che fin da subito non aveva alcuna barriera linguistica e che 20 anni dopo probabilmente conosce a memoria la versione con Steve Carrell. I problemi della serie derivano tutti da questa consapevolezza.
Esempio massimo di questa scelta è l’interpretazione di Felicity Ward nei panni di Hannah Howard, boss della Finley Craddick che australianizza e femminilizza il Michael Scott di Steve Carrell. Ward è chiaramente un’attrice di talento, ma in The Office quel talento è speso tutto – impossibile definirla altrimenti – in un’imitazione al limite del perturbante di quello che faceva Carrell nel ruolo. Chi si ricorda Michael ne riconoscerà i dettagli più microscopici sul viso e nella gestualità di Ward: il modo di aggrottare le sopracciglia, il sorriso a mezza bocca, gli occhi stralunati (non aiuta che i due attori si somiglino anche fisicamente), e quel modo inconfondibile di dire le cose più imbarazzanti con tono semi-ironico, mescolando cringe e narcisismo.