The OA (seconda stagione): la recensione
La seconda stagione di The OA amplia l'orizzonte metafisico della serie, rinunciando alla conturbante ambiguità del primo arco di episodi
Abbandonato ogni dubbio in merito all'affidabilità di Prairie Johnson come narratore della propria tragica storia di reclusione in bilico tra vita e morte, Marling e il co-autore Zal Batmanglij attingono a piene mani da Another Earth (di cui la cineasta di Chicago fu protagonista e co-sceneggiatrice) recuperandone la straniante commistione tra fantascienza e dramma; le suggestioni esterne non si fermano certo qui, e The OA si concede il lusso di eclettici riferimenti meta: citati Stranger Things ("È il Sottosopra?") e Black Mirror ("Non voglio che la mia coscienza venga caricata in un cloud per poi continuare a vivere lì dentro") en passant, colpisce la disinvoltura con cui il personaggio di Elodie, interpretato da Irène Jacob, fa esplicito riferimento a una se stessa attrice che ha ricoperto proprio i ruoli cardine della carriera della star francese. La scelta stessa di Jacob per il ruolo di una donna che trasferisce continuamente la propria coscienza nei propri "doppi" sparpagliati nelle diverse dimensioni è, a ben guardare, una non troppo timida strizzata d'occhio a La doppia vita di Veronica di Kieślowski, di cui fu memorabile protagonista nel 1991.
La nuova prospettiva - che coinvolge non più solo la barriera tra vita e morte, ma anche e soprattutto la multidimensionalità del reale e la natura del sogno - non comporta una perdita di profondità. La storia è più densa, l'intreccio più complesso, eppure The OA non cede mai il passo alla macchinosa superficialità del "cosa" rispetto al "come". I personaggi restano il nucleo pulsante della serie, gli eventi avvengono in funzione del loro cambiamento, mai viceversa: ecco che la trama diventa quindi specchio della raggiunta consapevolezza, da parte di Prairie, di una diversa sé. Poco importa che si chiami Nina o Brit, come testimoniato dall'audace virata metafilmica del finale: l'io è inconoscibile, limitato solo dalla fisica dell'esperienza. In diverse circostanze e di fronte a situazioni inedite, ci comporteremmo in modo diverso, a dimostrazione di quanto l'identità sfugga ineffabilmente a qualsiasi definizione netta.
Al di là del suo ormai assodato estro come narratrice, la performance attoriale di Marling sorregge in toto questa Parte II, mantenendone immutato il magnetismo nel corso di tutti gli episodi. Nella nuova stagione, vediamo Prairie ritrovarsi fuori dal proprio corpo e dal proprio tempo, spinta dal flusso della corrente di una vita a lei quasi del tutto sconosciuta. La graduale alternanza tra Nina e Prairie è senza dubbio uno degli elementi d'interesse maggiori di questi otto episodi, leggibile in quest'ottica come un viaggio alla scoperta di un sé altro. Marling è mirabilmente supportata dal formidabile Jason Isaacs, che riprende qui il ruolo di Hap senza vivere il dilaniante dilemma del confronto con la propria controparte preesistente nell'universo d'arrivo. L'attore britannico conserva lo status di villain, ma ne possiamo apprezzare diverse sfumature in virtù del forzato adattamento alla sua nuova vita in questa dimensione a lui ignota. La new entry Karim Washington (Kingsley Ben-Adir) si presenta come il tipico detective ruvido, ma evolve ben presto in qualcosa di diverso dopo essere stato trascinato nel mondo di Prairie tramite le ricerche su un'adolescente scomparsa (a cui è collegato uno dei colpi di scena più sconvolgenti e toccanti della storia).
La seconda stagione recupera inoltre il corpus degli insospettabili alleati di Praire, dando loro una nuova missione legata alla sparizione della loro amica e alla possibilità di seguirla nella nuova dimensione in cui sembra essere sparita. È difficile orientarsi nelle tenebre sotto un cielo senza astri e, per Steve (Patrick Gibson) e gli altri, The OA era divenuta una vera e propria stella polare. Il disorientamento e la disperazione di questo prosieguo offrono tanto a Gibson quanto a Phyllis Smith (BBA), Ian Alexander (Buck/Michelle), Brendan Meyer (Jesse) e Brandon Perea (Alfonso) la possibilità di approfondire i propri personaggi, portandone in luce aspetti e fragilità solo parzialmente emersi nella prima stagione. Anche i compagni di prigionia di Prairie hanno ruoli lievemente diversi da interpretare in questa nuova dimensione, per arrivare a Emory Cohen che è, tra i protagonisti, quello più profondamente mutato dal salto nel nuovo universo, dimentico dell'Homer della prima stagione e del tutto assorbito da una grigia, insoddisfacente esistenza vissuta all'ombra di Hap.
Ma verso dove proietta i propri protagonisti il sorprendente finale di questa Parte II? Era difficile eguagliare, in termini di raffinato surrealismo, la conclusione della prima stagione dove un gruppo di liceali danzavano per fermare una sparatoria. Eppure, basterebbe citare la sequenza con il polpo gigante o la danza dei robot di Elodie per dimostrare come i nuovi episodi non si siano lasciati intimorire dal pesante lascito di una stagione d'esordio folgorante in termini di spregiudicatezza creativa. Trattandosi di una serie che si prende sempre e comunque sul serio, The OA sfiora più volte il rischio di un effetto comico involontario, ma la sua solida e affascinante identità frena costantemente il riso, relegando la perplessità momentanea a un ruolo secondario rispetto al meraviglioso affresco che ci troviamo dinnanzi.
Lo sconvolgente finale, ambientato sul set della serie con Marling e Isaacs nel ruolo di se stessi - sebbene con le dovute differenze di un universo in cui sono legati da un vincolo matrimoniale - rende chiaro come questa storia riguardi un numero imprecisato di realtà parallele. Quando Prairie si sveglia per la prima volta nel corpo di Nina Azarov, è naturale chiedersi se quest'ultima sia stata sovrascritta o se sia effettivamente avvenuto uno scambio di corpo con Prairie, poi deceduta. La verità si è rivelata ben più intrigante: The OA sostiene che siamo tutti frammenti di una gigantesca anima, declinata in innumerevoli variazioni attraverso il multiverso. A poco a poco, Prairie sembra ricomporre il suo sé grazie ai salti da un mondo all'altro e alla conseguente comprensione di chi fosse nella realtà alternativa in cui è piombata. Sembra inoltre che Homer sia destinato a seguirla, così come Hap. Assumendosi la responsabilità di un finale che non può che dividere, The OA sembra voler includere una nuova contrapposizione (realtà/finzione) nello scenario ricco di dicotomie e che ha costruito finora: è una prospettiva tanto affascinante quanto spaventosa, che potrebbe indirizzare la serie in una direzione ad alto rischio di fallimento: malgrado ciò, non possiamo negare che questa strana creatura abbia meritato non tanto la nostra fiducia, quanto la nostra fede, una devozione e una stima figlie dello slancio quasi eroico con cui Marling, indomito marinaio, continua a spingersi sempre più al largo nel vasto oceano della narrazione televisiva, troppo spesso sovraffollato nelle proprie acque sicure.