The Night Of 1x01, "The Beach": la recensione

In un primo episodio cupo e dai ritmi dilatati che ne dimostra tutto l'ampio potenziale emozionale, The Night Of promette grandi emozioni al pubblico

Condividi
Spoiler Alert
Il party che ti sei perso. Così la giovane Andrea Cornish (Sofia Black D'Elia) introduce l’ingenuo Naz Kahn (Riz Ahmed) al mondo della droga, in una serata che si preannunciava foriera di emozioni ben diverse da quelle che il ragazzo di origini pakistane si trova a fronteggiare nel primo episodio di The Night Of. In un'ora e un quarto di narrazione, il pilota di questa nuova agghiacciante odissea televisiva si concede ritmi quasi proibiti al cinema per raccontare la caduta negli inferi di un giovane la cui unica colpa è una disarmata - ma non disarmante - ingenuità e, forse, un'emarginazione dovuta, almeno in parte, alla sua etnia d'origine. Dopo il flop della seconda stagione di True Detective, la HBO prende a modello una riuscita serie britannica, Criminal Justice, rimodellandola sui lineamenti più duri di una Manhattan che continua a vedere, nel Medioriente, la semplicistica incarnazione del Male. Anche in un contesto che sembra lontano anni luce da qualsivoglia connotazione politica, la paura dello straniero si manifesta a chiare lettere prima ancora che l’omicidio di Andrea venga perpetrato, attraverso le battute di Trevor – a dimostrazione che si dimentica presto il razzismo subito, quando si ha sottomano un nuovo reietto da poter vessare.

La parabola di Naz è un incubo lento ma inesorabile, raccontato con estenuante maestria dalla regia morbosamente impietosa nella prefigurazione della disgrazia, attraverso impronte, passi, sguardi che costituiranno, lo intuiamo subito, il colosso accusatorio mosso contro il ragazzo. Il suo unico peccato è cedere alle lusinghe di una donzella graziosa quanto pericolosa, che lo trascina in una notte all'insegna dell'estasi non solo erotica, spedendolo dritto dritto dietro le sbarre. Il mondo, osservato dagli occhioni spauriti di Naz, sembra continuare il suo corso impregnato di tediosa routine persino in un ambiente idealmente adrenalinico come quello della polizia. È invece una noia sordida a far da padrone nella centrale in cui il ragazzo viene trascinato, inizialmente imputato di semplice guida pericolosa, ma presto imbrigliato nelle maglie di una (in)giustizia ineluttabile. O, verrebbe da dire, di un fato beffardo quanto avverso, che catapulta un innocente al centro di un diorama di prove che sembrano inchiodarlo senza possibilità di salvezza.

In un microcosmo in cui i tutori della legge, idealmente capitanati dal detective Box (Bill Camp), perdono ogni appeal per ammantarsi di un'aura negativa quasi viscida, subentra infine un elemento positivo. Con passo felpato e senza farsi notare neppure dalla macchina da presa, in una delle tante idee di regia di cui pullula questo primo, coinvolgente episodio, fa il suo ingresso su questo desolato palcoscenico un deus ex machina: l’avvocato Jack Stone (John Turturro), “rosso” nel colore politico e nella pelle macchiata da un eczema che fa storcere il naso persino a Naz, che avrebbe ben altre cose di cui preoccuparsi. Un po’ per fatalità, un po’ per equivoco, è in quest’uomo trasandato ma bonario che vediamo l’unico barlume di luce nelle tenebre che accerchiano lo sventurato giovane, forse perché anch’egli fuori posto come lui; la croce del diverso grava, in modo diverso, su entrambe queste creature, i cui destini appaiono legati per una misteriosa affinità che, per una volta, coincide con la cieca e a volte beffarda violenza del caso.

Le premesse per appassionare sono già sotto gli occhi del pubblico: la catena di sfortunate coincidenze che inchiodano un innocente, la lotta contro un sistema giudiziario sordo a una verità diversa da quella dimostrata dalle prove indiziarie, il sottile ma svergognato razzismo alla continua ricerca di bersaglio, la costruzione di una catastrofe che inizia a delinearsi ancora prima che il delitto abbia luogo. Il tutto esaltato da una messinscena impeccabile in ogni comparto, dalla fotografia cupa e avvolgente - a tratti, quasi soffocante - alla raffinata quanto scabra scelta sonora, per arrivare alla splendida performance offerta da Riz Ahmed nel ruolo dello sfortunato Naz e dalla vibrante originalità del Jack Stone di John Turturro. Potremmo chiedere qualcosa di meglio? Al momento, scuotiamo la testa lasciando germogliare la curiosità sulle sorti di un agnello sacrificale che speriamo di veder risparmiato.

Continua a leggere su BadTaste