The Newsroom (terza stagione): la recensione
Si conclude l'ultima stagione di The Newsroom, la serie di Aaron Sorkin ambientata nel mondo del giornalismo
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La trama in breve, non perché sia importante, ma per dare un po' di contesto. Il notiziario di Atlantic Cable News è ancora scottato dal "mancato scandalo" legato all'operazione Genoa. La smentita, seguita da una serie di dimissioni non accettate, ha penalizzato la credibilità del network, che ora arranca cercando di riguadagnare la fiducia degli spettatori. La sfida per Will McAvoy (Jeff Daniels) e gli altri si presenta fin da subito, con la copertura della notizia delle esplosioni alla maratona di Boston. È solo l'inizio di una veloce cavalcata in sei atti che spazierà dalla possibile acquisizione del network (apparizione come guest per Kat Dennings in "Run"), alle accuse di spionaggio che da Neal Sampat (Dev Patel) avranno ricadute sull'intera redazione, e quindi Mackenzie McHale (Emily Mortimer), Sloan Sabbith (Olivia Munn), Charlie Skinner (Sam Waterson) e tutti gli altri, divisi tra problemi personali e temi professionali.
Will: It's a website. It doesn't have integrity.
Dimentichiamoci per un po' degli anni precedenti e concentriamoci solo su ciò che abbiamo visto nelle ultime settimane. In pochi episodi The Newsroom traccia una serie di riflessioni da far impallidire la maggior parte degli show là fuori. Lo fa con padronanza di idee, coraggio e stile: in quell'immensa ragnatela che è il mondo dell'informazione, in cui il centro è il valore della notizia, ogni nodo tematico si collega ad un altro e ad un altro ancora, e tutto ritorna sotto l'occhio della telecamera, che è soggetto sia attivo che passivo della storia. E tutto allora è strumentale per Sorkin: personaggi, dialoghi, comportamenti, ogni elemento della narrazione viene sacrificato all'imponente discorso "totale" che si cerca di costruire. E se il prezzo da pagare è la disaffezione verso la storia e chi la vive, così sia.
Aaron Sorkin, che recentemente si è anche espresso in merito alla vicenda dei leak Sony, rimane ancorato all'etica della professione. Lo fa, come si diceva sopra, strumentalizzando i suoi personaggi, lasciando alla giovane Maggie Jordan (Alison Pill) la scelta sulla diffusione del contenuto di una conversazione confidenziale di uno dei vertici dell'EPA. La visione della scrittura – tutt'altro che neutrale – può essere didascalica, poco pragmatica, magari non condivisibile e nostalgica (come lo era la sigla della prima stagione), ma è coerente con se stessa ed è forte nel metterci davanti a certi temi. Sorkin ha una risposta, ma non è detto che sia la risposta. E i suoi personaggi, che di questa visione sono portavoci e poco altro, lo seguono. Ed allora è all'integrità di Will che prestiamo ascolto, quando si rifiuta di rivelare il nome di una fonte, e stiamo dalla parte di Neal nel suo difendere il diritto all'informazione.
Jack: Can I point something out to you? You're giving a monologue.
Maggie: Everyone does where I work.
Piccola, necessaria e sofferta parentesi sui difetti della serie. The Newsroom esordiva nel 2012 con un monologo ormai celebre sul perché gli Stati Uniti non sono il più grande Paese al mondo, una scena che qualcuno ha caricato su YouTube come "The most honest three and a half minutes of television, ever". Una scena – che viene ripresa tramite flashback nell'episodio "What Kind of Day has It Been" – che ho da subito trovato pessima e che mi ha indisposto fin dal principio nei confronti della serie, perché didascalica, perché retorica, perché artificiosa, perché costruita ad arte per creare soddisfazione nello spettatore. E a questi difetti la serie spesso è tornata, anche quest'anno. Le stilettate verbali tra i personaggi sono sempre intatte, e nella loro astrattezza ci allontanano ancora di più da percorsi emotivi non tra i più interessanti.
Tra un quadrilatero amoroso e un rapporto che deve essere tenuto segreto alle risorse umane, il tutto culmina nell'epilogo di "Oh Shenandoah", quasi surreale nella mediocrità con la quale, rallenty fuoriposto e sottofondo musicale improbabile, ci racconta un momento drammatico (fa il pari con "I'll Try to Fix You" della prima stagione). Ma The Newsroom non è mai stato, né voluto essere questo. Ad ogni dialogo casuale si aspetta che salti fuori una riflessione sulla comunicazione, qualcosa che abbia un impatto sulla trasmissione, e quello quasi sempre arriva. Ed è intelligente, e ti lascia con qualche spunto in più sulla comunicazione e sul modo di percepirla. Alla fine una chiusura in crescita per una serie che non aveva mai brillato particolarmente.