The New Mutants, la recensione
The New Mutants arriva finalmente (dopo anni) sul grande schermo senza credere troppo nella rivoluzione che si proponeva di essere
La prima è che il film, o quello che ne resta dopo i continui rimaneggiamenti e la travagliata storia produttiva, è più ambizioso di quello che eravamo portati a credere. Il lungometraggio di Josh Boone è (era) chiaramente un primo capitolo di un progetto più ampio destinato a legarsi con la grande mitologia dei mutanti Marvel. Soprattutto s'intravede la soffocata ambizione di rilanciare un intero franchise con volti nuovi e giovani e un budget contenuto.
L'idea alla base è semplicissima: cinque giovani mutanti vengono rinchiusi in un istituto per imparare a gestire i loro poteri. Se fuori controllo infatti le conseguenze potrebbero essere devastanti. A controllarli l'ambigua dottoressa Reyes, anche lei dotata di poteri e padrona assoluta dell'edificio, che si staglia isolato da tutto e apparentemente deserto. Ma qualcosa sembra non andare come previsto. Terribili forze oscure stanno prendendo il controllo dell’edificio, portando alla luce inquietanti misteri. Un dramma da camera dell'orrore.
Il film è animato dal bisogno di rendere i personaggi indimenticabili, ma comprime, taglia, sintetizza a tal punto la sceneggiatura da concedere poco più che 15/20 minuti di screen time a testa. Troppo poco per 5 adolescenti problematici (e un villain). Siamo quindi costretti a conoscere i nuovi mutanti attraverso il racconto che gli altri fanno di loro. Aderiamo alla loro voglia di fuggire solo perché questo desiderio condiviso è l’unico legato alla trama principale. Non importa il loro passato, perché fatichiamo a simpatizzare con il loro presente.
Certo il cast non aiuta. Taylor-Joy a parte, il resto della squadra non possiede né il carisma né la capacità di recitare in sinergia con gli effetti visivi. È tutto compresso: i sentimenti sono mostrati alla svelta attraverso i gesti (la paura sono due mani sulla bocca e un urlo, la rabbia sono i pugni stretti e così via). I rapporti tra i personaggi evolvono nel senso più prevedibile possibile, nella speranza di renderli accettabili anche se non sentiti e nemmeno mostrati.
La componente horror, vero elemento distintivo del film, porta all’estremo il rating PG-13 con molto sangue e con una cruda rappresentazione della sofferenza. Ma l’orrore è un genere netto: o lo si abbraccia appieno o tanto vale lasciarlo da parte. Ed è qui la grande incertezza di Boone (o degli executive Fox?): comprimere in pochissimo tempo tante trame, generi, atmosfere diverse, senza lasciare il tempo di sedimentare e crescere. Mischiare tanti generi senza mai buttarsi con coraggio in uno di questi.
The New Mutants non è certo il disastro annunciato. È un insieme di buone intuizioni e idee brillanti, ma male accostate tra di loro. C’è una storia d’amore per certi versi rivoluzionaria, che porta finalmente gli sguardi al corpo, il desiderio fisico, in un genere spesso molto casto. È buona l’idea di usare l’ambientazione come il primo villain del film. Ma la povertà di mezzi e la fretta soffocano ogni aspirazione. L’istituto è come una prigione inespugnabile, ma è vuota, senza personale e senza personalità. Se l’Overlook Hotel era attraversato in tutta la sua lunghezza dal piccolo Danny di Shining per poterci mostrare la geografia dove avverrà l’orrore, in The New Mutants il luogo è indecifrabile nei suoi corridoi e nelle sue stanze che non sembrano collegate tra di loro.
Josh Boone ha confezionato un film dove sicuramente la storia produttiva è più interessante di quella mostrata sullo schermo. Ma anche un film che va letto tra le righe. Un progetto nato per essere coraggioso, ridotto a “portare a casa” timidamente la storia. Un potenziale franchise basato più sulle idee che sul budget, arrivato al cinema con troppi anni di ritardo.
The New Mutants voleva essere una rivoluzione. Ma le rivoluzioni, quando non vengono portate fino in fondo, sono solo occasioni sprecate.