The Morning Show, la recensione dei primi tre episodi

Tramite la storia di uno scandalo #metoo che coinvolge una popolare trasmissione The Morning Show rappresenta i mutamenti che sta attraversando lo spirito americano

Critico e giornalista cinematografico


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The Morning Show, disponibile su Apple TV+, la recensione dei primi 3 episodi

Che sorpresa! AppleTV+ tira fuori uno dei prodotti meglio scritti e interpretati dell’anno che riesce anche a sollevare le domande giuste e non ha nessuna paura di affrontare le questioni cruciali degli ultimi due anni. Una delle poche serie a fondarsi sullo spirito americano e che lo usa per indagare il presente e i cambiamenti che il paese e la sua mentalità sta attraversando.

I rapporti tra uomini e donne stanno finalmente cambiando e lo stanno facendo (almeno nel mondo anglosassone) con grande violenza, cause, lavori perduti e carriere in fumo mentre altre emergono. Una dinamica da È Nata una Stella come se l’avesse scritto Frank Underwood. Così parte anche The Morning Show, con la redazione dello show mattutino più popolare d’America che si sveglia venendo a scoprire che uno dei due presentatori è finito in uno scandalo non chiarissimo ma che gli ha evidentemente distrutto la carriera. Il network lo scarica subito, senza nemmeno discutere o parlarci. È finito, non ci sono possibilità di salvezza.

La protagonista della serie però è la sua co-presentatrice (Jennifer Aniston, finalmente in un ruolo vero, difficile, ma ci arriviamo), lei non è certo la persona che gestisce la trasmissione o la padrona del canale ma lo stesso è in vista, è delusa da un collega che stimava (con cui ha avuto anche una tresca) e soprattutto è spaventata da cosa accadrà adesso a lei. Erano una coppia, erano il padre e la madre d’America. E adesso?

Già questo attacco è fantastico, dei mille possibili angoli la serie sceglie di prendere quello più puramente lavorativo, quello da corridoio, fatto di contratti e carriere. The Morning Show è davvero una delle pochissime serie che in questo momento raccontano l’America, l’essere americani, vivere con quegli obiettivi, quell’etica e quelle aspettative, in una tempesta fatta di giganteschi cambiamenti a cui il business (quindi le aspettative di carriera) deve adeguarsi. C’è un desiderio fortissimo di non perdere la propria posizione, di non essere tra le vittime dell’uragano e di tenere il proprio lavoro con le unghie che è la quintessenza della grinta americana.

E la propria posizione non la vuole perdere nemmeno lui, l’accusato (il solito grande Steve Carrell) che lungo i primi tre episodi mostra più volte di non volerci stare, sostiene di non aver molestato, di aver fatto sì sesso sul posto di lavoro ma con donne consenzienti. Ad un certo punto avrà anche una conversazione con un altro accusato, durante la quale si renderà conto che questa persona con cui condivide molto e con cui concorda in realtà è davvero un predatore, ha davvero costretto ragazze ad avere rapporti con lui e che la sua di situazione è completamente diversa. Si infila cioè in quella precisa zona grigia che per molti non è assolutamente grigia ma che di fatto non vede tutti concordi, quelle situazioni in cui il consenso è arbitrario, potrebbe essere reale come indotto dal potere esercitato. Ogni volta che è in scena lui in quel mare si rimesta, quelle acque vengono agitate e se all’inizio è chiaro dove posizionarsi, più si avanza meno lo è. La sua foga di dire “Io non sono finito” è contagiosa e come nei migliori racconti non importa se i personaggi abbiano ragione o meno, noi siamo con loro quando loro sono in scena.

Il cuore del racconto però riguarda lo show e prendendo un po’ della scansione e del lavoro di gruppo di Newsroom (senza quel desiderio di alleggerire, anzi), The Morning Show mette in scena la lotta per la sopravvivenza. Non è molto diverso in fondo da House Of Cards (da cui viene il creatore) una storia di lotta per il potere, di tranelli, sgambetti davanti alla stampa e incredibili rischi che vengono affrontati per non perdere. Non ha quel passo shakespeariano ma anzi un gretto realismo e un senso pratico estremo. Ed è appassionante anche se non c’è Kevin Spacey, perché c’è Jennifer Aniston che dopo essere stata fidanzata d’America in un monte spropositato di commedie romantiche negli anni 2000 trova qui finalmente un ruolo che gli dia modo di esplorare altre corde (curiosamente un ruolo in cui è definita “mamma d’America”). È una donna manager perfetta, ha un ruolo complicato diviso tra lavoro e realtà domestica, e la serie ha il coraggio di non insistere mai su di lei ma obbligarla a fare l’attrice e dire tutto quel che deve con una scena o un paio d’inquadrature, niente di più. E lo fa benissimo, ha la carica vera negli occhi, la statura dell’autorità, il carisma della donna che non verrà messa in un angolo dalla vita. È bravissima e ben scelta, ha l’età, lo star power, la riconoscibilità e quel misto impeccabile di bellezza, classe e determinazione negli occhi per funzionare, basta vedere la scena del consiglio d'amministrazione in cui sono tutti vestiti di nero, tutti uomini, tranne lei capotavola vestita di rosso. Ha detto tutto prima ancora di iniziare a parlare.

La cosa ancora più fondamentale se si considera che poi il cuore della trama è un altro ancora. Il mondo è quello di uno scandalo #metoo, ma la trama è quella che vede una reporter burrascosa, idealista e ben poco vittima della soggezione nei confronti del Morning Show avere una rocambolesca occasione. La vogliono usare solo per spaventare i conduttori, vogliono fingere che lei sia un’alternativa ma l’intrigo fa sì che contro la volontà di tutti lei prenda il posto del papà d’America costituendo una nuova famiglia, ben meno convenzionale della precedente, fatta di due madri. Jennifer Aniston e Reese Witherspoon anche lei in un ruolo diverso dal solito, a cui presta una grazia incredibile considerato il carattere del personaggio.

Il punto in cui si chiude la terza puntata è quello cruciale, il suo arrivo allo show. L’arrivo di una testa calda, repubblicana (“Non crediate che io sia la repubblicana che pensate!”) per nulla vittima del potere che ha una grande occasione e vuole farsi notare, scelta proprio dalla sua co-conduttrice come tecnica per garantirsi la sopravvivenza. L’anima americana fedele agli affari, arrivista, capace di capire le esigenze del business e quella idealista, arrabbiata ma non (come spesso avviene) democratica. Alla fine della fiera l’arco delle prime tre puntate crea una coppia esplosiva e getta le basi per raccontare ciò che abbiamo visto accadere negli ultimi due anni (uomini che perdono posti per come hanno trattato le donne) esplorandone le contraddizioni, i limiti, la giustizia o l’ingiustizia. Tutto con una scrittura raffinata che fa un’incredibile economia.

Si veda quanto accade in ogni puntata. Ci vuole una capacità di sintesi rara per far accadere così tanto, dando ad ogni evento solo lo stretto indispensabile, lo scambio di dialogo, le frasi o le singole scene indispensabili e lasciare più anfratti di mistero, più stimoli da esplorare di quanto risposte si siano date. Non male davvero.

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