The Menu, la recensione
In The Menu è tutto giusto, ben eseguito, fila bene: eppure mentre espone queste idee risulta inevitabile pensare che il cuore pulsante di cui parla non ce l’abbia proprio.
La recensione di The Menu, presentato alla Festa del Cinema di Roma. Al cinema dal 17 novembre
Diviso nelle sue parti secondo le portate che vengono servite, The Menu di Mark Mylod segue una struttura semplice e pulita: dopo avere agganciato lo spettatore con una lieve tensione - non si fa di certo orrore, anche se ha i meccanismi di Saw - e la promessa di un incedere inevitabile verso la portata finale, il film tiene alte le promesse iniziali risultando scorrevole e interessante, coerente con le aspettative. Un film piacevole, ma che è un’esperienza intensa molto di più per i personaggi che per gli spettatori, che verranno coinvolti non emotivamente ma narrativamente.
Le note di ironia e commedia che The Menu inserisce qua e là non fanno venire meno la serietà del film - non è mai una parodia, né una commedia in sé - ma lo alleggeriscono bene creando un flow narrativo che funziona. È però altrettanto vero che sono i personaggi a rendersi ridicoli da soli con le loro parole (per esempio i critici) o ad essere ironici (chef Slowik in primis), ma non è Mylod a guardarli in quel modo. Tolti gli inserti in cui presenta i piatti “alla Chef’s Table” (con il piatto inquadrato in modo patinato e gli ingredienti scritti in sovraimpressione) Il lavoro di Mylod è di puro servizio alla sceneggiatura, e con una regia piuttosto invisibile porta a casa un film tanto semplice nella realizzazione quanto nella sua idea di fondo.
Pur promettendo infatti una certa profondità di critica sociale, il film è un chiaro ma generico j’accuse a una certa idea di cucina, quella haute, che ai suoi livelli estremi porta chi la vive a una ricerca tecnica che rischia di prosciugare i sentimenti. Un po’ questo e un po’ l’idea romantica che il cibo è amore ed emozione (niente che non avesse già detto in modo molto più raffinato Ratatouille, che però diceva tante altre cose).
In The Menu è tutto giusto, ben eseguito, fila bene. Non gli si può rimproverare nulla in questo senso: eppure mentre espone queste idee e sentimenti risulta inevitabile pensare che il cuore pulsante di cui parla, invece, non ce l’abbia proprio.
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