The Mauritanian, la recensione
The Mauritanian di Kevin Macdonald si costruisce con dedizione intorno all'idea di sospensione del giudizio, offrendo un quadro umano sfaccettato
È letteralmente sulla sospensione del giudizio che si basa The Mauritanian, film diretto dallo scozzese Kevin Macdonald e adattamento del best seller Guantanamo Diary di Mohamedou Ould Slahi, autobiografia di un detenuto mauritano nel campo di prigionia di Guantánamo. Questo perché, oltre ad essere nei fatti la storia di un uomo detenuto per quattordici anni senza nemmeno un’accusa, che aspetta di essere giudicato di fronte a un tribunale con un giusto processo - e invece è stato a lungo recluso, torturato e obbligato a confessare con metodi coercitivi di essere uno dei responsabili dell’11 settembre - The Mauritanian offre soprattutto, senza facili retoriche o ridondanti bipartizioni ideologiche, uno sguardo che non vuole posizionarsi né da una parte né dall’altra della barricata ma semplicemente offrire un quadro umano (più che politico) il più raffinato possibile. E ci riesce.
In questo senso The Mauritanian è certamente un film americanissimo, che promuove in un certo senso la superiorità degli States in quanto paese occidentale abitato (anche se non sempre guidato, attenzione) da individui difensori della democrazia. Ma, finalmente, anche l’accusato ha un volto, un passato, è passibile di empatia e viene visto come una persona più che come uno strumento politico. Ma l’alleato, il salvatore, ha comunque un passaporto a stelle e strisce.
Cosa ne dite della nostra recensione di The Mauritanian? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!
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