The Matchmaker, la recensione

The Matchmaker di Abdulmohsen Aldhabaan è quel tipo di film vagamente autoriale che pensa di essere molto più figo di quello che è in realtà

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La recensione di The Matchmaker, disponibile su Netflix dal 27 aprile

The Matchmaker di Abdulmohsen Aldhabaan è esattamente quel tipo di film vagamente autoriale che pensa di essere molto più figo di quello che in realtà è e che, peccato mortale, pensa di essere femminista quando non fa altro che reiterare un maschilismo e una pochezza di pensiero agghiaccianti.

L’intento di The Matchmaker è quello di fare un’allegoria contemporanea sulla subordinazione femminile, l’oggettificazione della donne, le violenze sessuali: temi già di per sé complessi e che mettono in crisi anche i più grandi autori. Con l’ingenuità di chi in cuor suo pensa di fare bene, The Matchmaker è un inutile giro di eventi (pochi) e parole (ancora meno) che alla fine di una trama sgangherata e mal scritta riesce infine a dire solo un’estrema banalità: bisogna perdonare tutti gli uomini, perché alcuni sono buoni.

Il film è ambientato in un non meglio identificato paese medio-orientale e il protagonista è un triste tecnico informatico (Husam AlHarthi): padre di famiglia assente, scontroso, in crisi con la sua mascolinità (lo capiamo dal fatto che ascolta podcast sul tema, come se bastasse, ma ok). Una parentesi ambientata in un passato leggendario ci fa capire che esiste una specie di setta di donne che hanno dedicato la loro esistenza alla vendetta di genere, bruciando vivi uomini che maltrattano le donne. Una di loro è collega del protagonista (Nour Alkhadra), da cui questo è sessualmente attratto. Proprio per seguirla, “per sbaglio” finisce nel tranello che questa aveva escogitato per il loro capo stupratore: una sorta di hotel segreto dove poter sposare chi si vuole…

Già qui The Matchmaker si inceppa perché vorrebbe farci creare empatia con questo protagonista (lo si capisce dal pietismo con cui viene messo in scena, le inquadrature della sua faccia triste, la solitudine da cui è sempre circondato) mentre di fatto anche quest’uomo è a sua volta disposto a prendersi con la forza una donna. Il fatto grave e che rivela la pochezza di pensiero e di scrittura di The Matchmaker è che il film non mette mai in dubbio l’ambiguità del protagonista - quasi non se ne rendesse conto.

Per poco più di un’ora non vediamo altro che il suo vagabondare in questo hotel e scoprire cose che l’antefatto ci aveva già mostrato con una voce narrante (e nel mostrarle nuovamente si fa ancora più confusione sui perché, per cosa… non ci si raccapezza sulle modalità di questo stratagemma para-femminista alla Squid Game) , senza mai riuscire ad approfondire il suo personaggio, le sue contraddizioni. A peggiorare il tutto c’è poi il personaggio della ragazza a lungo cercata, che prima vuole vendicarsi poi in una spinta di buonismo perdona tutti gli uomini solo perché il film vuole perdonare a tutti i costi il protagonista. 

Insomma forse era proprio il caso di chiedersi se uno sguardo maschile superficiale su un personaggio maschile mai problematizzato fosse il giusto modo per parlare di violenza di genere. La risposta sarebbe stata no.

Siete d’accordo con la nostra recensione di The Matchmaker? Scrivetelo nei commenti!

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